Perché state a guardare il cielo?

12 Maggio 2002 Nessun Commento     

Quaranta giorni dopo la sua risurrezione Cristo ascende al cielo…

Ma il cielo non esiste!

Il cielo come luogo preciso, definito, al di sopra delle nostre teste in cui abita Dio, circondato dagli angioletti, è solo un modo di dire.

Non era così per gli antichi.

Allora scienziati, filosofi e gente comune concordavano nell’immaginare il cielo come un insieme di sfere di purissimo cristallo che giravano attorno alla terra, centro dell’universo, al sommo del quale, al nono cielo, splendeva la gloria di Dio.

Noi oggi siamo più smaliziati. Da Galileo in poi sappiamo che il cielo non esiste.

Esiste l’universo, infinito, il cui mistero, anche sotto il profilo scientifico, ci inquieta. E la terra, questa nostra terra, questa aiuola, come dice Dante, che ci fa tanto feroci, è solo un granello sperduto nella immensità degli spazi, sulla quale è nata e chissà per quanto tempo attecchirà, questa muffa cosmica che è la vita, ed in particolare la vita umana…

Non siamo più l’ombelico dell’universo. Astronomicamente parlando siamo meno di un granello di sabbia sperduto nell’immensità siderale.

Il tempo e lo spazio sono solo due nostri modi di vedere le cose non sono certo modi di essere di Dio. Noi crediamo in Dio non perché abiti fisicamente al sommo dei cieli, ma perché la sua presenza, al di là del tempo e dello spazio, permea la nostra vita.

Ed allora, se è cambiata questa immagine del mondo che forse rende più comprensibili alcune espressioni di fede, che cosa intendiamo allora quando diciamo di credere che Cristo “è salito al cielo”?

Per dare un senso concreto, reale a questa espressione, per capirci qualcosa, abbracciamo con un solo sguardo queste tre domeniche: 12, 19 e 26 maggio.

Sono tre feste. Ascensione, Pentecoste e Trinità.

Ascensione, Pentecoste, Trinità, sono tre diverse maniere per dire Pasqua, l’unica vera festa permanente che abbiamo celebrato 40 giorni fa.

Anche il numero “40” indica, nella bibbia, quel tempo ideale, necessario per capire, per maturare, per crescere all’interno di una esperienza.

Ed allora:

La risurrezione di Cristo era stato un fatto così straordinario, così sorprendente, così inatteso dagli stessi testimoni, da non essere immediatamente percepito.

Ciò che esso implicava è tanto ricco, che i primi discepoli hanno cercato di esprimerlo in tanti modi.

Il modo più comune è “ri-sorgere”, che vuol dire “alzarsi dalla tomba”, svegliarsi dalla morte.

Cristo si era svegliato dalla morte, era ri-sorto, era uscito di nuovo dal sepolcro.

Il “risorgere” mentre esprime benissimo l’identità fra chi muore e risorge, non dice la differenza fondamentale della persona nei due stati.

Anche Lazzaro era risorto.

Ma nel caso di Cristo siamo davanti a qualcosa di completamente diverso, Cristo, risorto, è entrato in una dimensione completamente nuova. Non è di nuovo vivo, come era prima di morire, è un’altra cosa.

E’ l’uomo nuovo, rinato, ri-creato, il primogenito di tutte le creature, il nuovo Adamo, il prototipo di una nuova specie, di una nuova umanità, il capo di un corpo, la chiesa, fatta anch’essa di uomini nuovi, ri-creati.

Tutto questo, che, al di là delle parole, sempre inadeguate, spero indichi un’esperienza, strettamente legata al nostro battesimo, tutto questo si dice Pasqua, ma si dice anche Ascensione, per indicare il nuovo modo si essere di Cristo e perché Cristo deve sparire perché avvenga la nostra testimonianza, si dice Pentecoste, perché questo nuovo modo di essere è prodotto in Lui e in noi dalla Spirito, si dice Trinità, perché questa trasformazione ci inserisce nella famiglia di Dio di cui diventiamo figli.

Non so se sono riuscito a spiegarmi bene, ma spero che queste poche richiamino alla nostra mente non delle vaghe idee, ma ciò di cui, è intessuta la nostra vita.

Ecco perché facciamo festa, celebriamo l’Ascensione.

Ecco perché torneranno domenica prossima.

Perché i 40 giorni non sono 40 giorni, ma sono 40, 400, 4000, tutti i giorni che il Signore ci da e indicano il cammino di fede necessario per superare il dubbio, per accogliere il Signore, per sentirsi trasformati come Lui per mezzo della Spirito, per caricarci della stessa missione di Cristo: battezzare, immergere ogni uomo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito.

Se le cose stanno così, tiriamo concretamente alcune conseguenze partendo da due frasi.

La prima è di Cristo:

E’ bene per voi che io me ne vada.

Questa frase è stata pronunziata da Cristo, prima della sua sparizione fisica, davanti al rammarico, al turbamento, allo smarrimento dei discepoli.

Perché?

Forse perché la scomparsa del leader del capo, del maestro, fa parte dello scopo che il vero capo, il vero maestro vuole raggiungere: far diventare adulti, far crescere, far maturare, rendere responsabili delle proprie scelte i suoi discepoli.

Non sempre avviene così, noi lo sappiamo.

Dai genitori, ai maestri, ai preti, ai politici, si pensa di essere punti di riferimento indispensabili, guide insostituibili.

Così i figli restano minorenni fino a cinquant’anni, gli allievi sono sempre ignoranti, i cristiani, semplici fedeli sottomessi, e i cittadini sudditi adoranti il capo di turno.

Cristo, pensando alla sua chiesa, non ha pensato ad un gregge, a persone che devono in eterno rimanere infantili, senza iniziativa, senza parola, senza autonomia, senza braccia e piedi, che non sarebbe poi tanto grave, ma ciò che è più grave, senza testa, cioè senza la capacità di compiere uno sforzo personale, diretto, per confrontare la propria vita, la realtà, i problemi con il Vangelo.

La seconda frase la dicono gli angeli:

“Perché state a guardare il cielo?”

Il cristiano non si ferma inebetito a guardare in alto, scioccato dalla partenza di Cristo, considerando inutile ogni lotta ed ogni impegno.

Il cristiano non fugge dal mondo, brutto e cattivo, costruendosi la sua nicchia privata dalla quale ogni tanto guarda con pessimismo all’esterno, cercando di difendere la sua privacy e la sua tranquillità.

Il cristiano si immerge nella storia perché ogni zolla di terra sulla quale cammina verso il cielo diventi cielo.

Preghiamo insieme perché, ognuno di noi, nel contesto in cui vive, nella comunità cristiana nella quale è inserito, in ogni occasione della sua vita, possa essere testimone di questa parola.

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