Voi sarete per me un regno di sacerdoti

16 Giugno 2002 Nessun Commento     

Siamo tutti (o quasi tutti) impazziti, per il calcio, per i campionati mondiali, ed, in mezzo ai pagani, ai giapponesi, ai cinesi, ai coreani, ai buddisti, agli scintoisti, ai confuciani, riusciamo anche a fare i missionari sfruttando le dichiarazioni del mister allenatore della nazionale che, vantando la sua cattolicità, la sua fede sparge acqua benedetta ai bordi del campo, dice di credere in Dio e lo ringrazia perché, secondo lui, Dio, in vista della sua fede supplisce alla incapacità dei suoi giocatori.

A volte, mi sento a disagio di essere italiano quando vedo che l’interesse per le partite coinvolge tanta gente che poi non è capace di interessarsi a tanti altri problemi estremamente gravi, quando vedo come tutti siamo strumentalizzati dalla propaganda e dalla televisione per fare guadagnare tanti soldi a quattro gatti, mentre nel mondo si muore di fame (qualcuno di voi ha seguito in questi giorni il vertice mondiale della Fao, nel quale non si è fatto nulla di concreto, ma solo slogan e belle promesse e, ancora una volta, chi vorrebbe fare qualcosa è stato imbrogliato dai potenti), ma. leggendo sui giornali: “Trapattoni crede in Dio”, mi vergogno di essere cattolico se debbo essere messo sullo stesso piano di uno che spruzza di acqua benedetta i giocatori e che pensa a Dio come a uno che debba correggere le sviste dei guardalinee…

Vorrei farvi riflettere su quanto sia importante sapere a quale religiosità dobbiamo appigliarci, a quale fede dobbiamo rivolgerci, a quale cammino dobbiamo fare, tutti, per non tradire Gesù Cristo, da Jalena che si avvicina al Regno di Dio ed ha il diritto di entrare in contatto con il Cristo autentico, non con l’acqua benedetta e gli scongiuri, a tutti noi che questo cammino lo abbiamo iniziato da tempo.

Ecco perché abbiamo bisogno di comprendere e vivere sempre più il mistero pasquale, il mistero della morte e della resurrezione del Signore, nel tempo “ordinario”, nel tempo di ogni giorno, che è cominciato dopo la celebrazione della feste cristiane dalla Pasqua alla Trinità.

Per noi il tempo ordinario non è il tempo della noia, il tempo della monotonia, il tempo della ripetizione inutile delle stesse cose: è la vita.

E’ il quotidiano, è il tempo nel quale testimoniamo che cosa significa per noi essere battezzati, essere passati attraverso la morte e la risurrezione del Signore.

Significa diventare donne e uomini nuovi, con gli occhi ben aperti sulla terra, ripieni dello spirito di Dio, per realizzare, uniti in un solo corpo, il progetto della Trinità: l’amore, l’apertura, la condivisione.

E’ questo il succo di ciò che abbiamo celebrato, ed è il senso delle letture di oggi che ci portano non alla periferia ma al cuore del messaggio cristiano: Letture che abbiamo sintetizzato nella frase del libro dell’Esodo: “Voi siete un popolo di sacerdoti”.

Ma che linguaggio è questo?

Non ci hanno sempre insegnato che nella chiesa da una parte ci sono i sacerdoti e dall’altra i semplici fedeli? Che i primi sono quelli che insegnano e fanno da tramite fra l’uomo e Dio e i secondi sono quelli che obbediscono e si fanno condurre per mano nella via della salvezza?

Ma non è così. Non dovrebbe essere così.

Fra i primi cristiani non esistevano i sacerdoti. C’erano i presbiteri. Che è tutta un’altra cosa.

Il presbitero, da cui deriva poi la parola prete, è l’anziano, colui che, scelto dalla comunità, presiedeva l’Eucaristia, che faceva anche da guida spirituale, ma “cristianamente”, sostanzialmente, non aveva nulla in più degli altri, era in tutto e per tutto uguali agli altri, secondo il comandamento di Gesù: Non chiamate nessuno “padre”. Uno solo è il vostro padre ed uno solo è il vostro maestro: voi siete tutti fratelli”.

Per questo, appunto, tutti si sentivano “sacerdoti”, nel senso più pieno e più autentico della parola.

Cosa vuol dire infatti essere sacerdoti se non essere abilitati a rendere il culto a Dio?

Ma nel cristianesimo il culto vero, autentico di Dio, non avviene dentro le chiese, avviene nella vita. Il cristiano, rende onore al Padre, al Figlio e allo Spirito, quando vede nel fratello lo stesso volto di Cristo.

E Dio non si sente onorato da noi quando la preghiamo con le labbra, quando ricorriamo ai talismani, quando diciamo di credere in lui facendo scongiuri e ringraziandolo perché le cose a noi vanno bene mentre per gli altri vanno male, ma quando, con il nostro cuore e con le nostre mani, aiutiamo quelli a cui le cose vanno male.

Il culto di Dio non può essere che quello stesso di Cristo: offrire in ogni momento al Padre la vita per i fratelli.

E’ questo, al di là di tutte le strumentalizzazioni e di tutti i fanatismi, il vero spessore umano e cristiano della santità, dei santi, di Padre Pio.

E i sacramenti, i riti, se vogliamo chiamarli così, non sono atti di culto, ma sono semplicemente, momenti di gioia, di celebrazione di una comunità che festeggia quanto già vive concretamente nella vita.

Ecco allora perché tutti, anche noi, siamo “mandati”.

Apostoli altro non vuol dire che “mandati da”.

Mandati a “salvare”, a liberare, a guarire, a mostrare il vero volto di Dio.

E’ una cosa bellissima scoprire questa dimensione calandola nella nostra vita.

Preghiamo Dio perché possiamo con gioia realizzarla, perché insieme a noi possa realizzarla Jalena che invito a venire all’altare, insieme alla sua madrina per essere immersa, per essere battezzata nel nome, nella realtà, nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito.

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