Fratelli, siate lieti!

15 Dicembre 2002 Nessun Commento     

Ci andiamo preparando alla festa del natale.

Se ogni festa è gioia, il Natale lo è ancora di più!

Ed in modo spontaneo, fluido, naturale…

E’ normale almeno per un giorno, mettere da parte i guai, mangiare insieme, concludere magari con una bella messa, condita pure da una generosa elemosina, per dare un po’ di gioia a chi sta peggio di noi…

Cose tutte da non disprezzare, perché possono essere segno di qualcosa di più bello e di più grande: il segno di quella gioia di cui parla Isaia, alla quale ci invita Paolo, la gioia del “vangelo”, che, come dice la stessa parola è la notizia lieta, il lieto annunzio per eccellenza.

Certo, ci sono tanti modi per essere contenti…

Si può essere contenti perché tutto va bene, a gonfie vele: la famiglia, l’amore, la salute, la carriera, i soldi, gli amici…

Ce lo auguriamo tutti, anche se essere contenti solo per queste cose è pericoloso, ed anche raro, perché sono tanti gli elementi, messi in gioco, sono tante le variabili dipendenti, che basta anche una sola di queste cose che non funziona per mandare tutto all’aria…

Si può essere contenti anche quando qualcosa va male. Guardare ottimisticamente solo il lato positivo delle cose…

Mi sono rotta una gamba, ma il mio vicino se le è rotte tutte e due. Piango con un occhio solo…

C’è un terzo modo di essere contenti, non perché si ha qualcosa, ma perché si è qualcosa.

Essere contenti perché si è cristiani.

Ma, che cosa è la gioia cristiana?

Su quali motivazioni si fonda?

Noi, cristiani, abbiamo l’esperienza della gioia?

Non diamo a volte un’impressione diversa?

E come è possibile, soprattutto, coniugare la gioia con la vigilanza, l’attenzione, la presa di coscienza dei mali del mondo?

Tante le domande, non riusciremo ad esaurirle.

Vorrei tentare almeno di descrivere l’esperienza cristiana della gioia alla luce della Parola che abbiamo ascoltata, nella speranza che essa trovi posto nella mia e nella vostra vita.

Ed anzitutto: noi cristiani non siamo deficienti, né gli scemi del villaggio, né degli alienati che si rifugiano nei sogni del futuro sfuggendo alle difficoltà del presente.

Se il futuro di Dio è il nostro orizzonte ultimo, noi siamo immersi nel mondo, abbiamo i piedi per terra, nella concretezza della vita, a fondamento della quale però, ed ecco il punto, noi abbiamo messo Dio, il Dio di Cristo, il Dio del Vangelo, il Dio che è presente nella storia di ognuno e nella storia di tutti, il Dio che mi chiama personalmente a collaborare con Lui, a proclamare la libertà degli schiavi, la liberazione dei prigionieri, il Dio che depone i potenti e esalta gli umili, il Dio che ricolma di beni gli affamati e manda a mani vuote i ricchi…, quel Dio che farà germogliare la giustizia davanti a tutti i popoli, che pareggerà del tutto i conti alla fine, ma che è qui, accanto a me, fin d’adesso per cominciare già ora questo pareggio.

Il Dio della pace, che ci ha chiamati è fedele, e farà tutto questo, ha urlato Paolo.

Se siamo convinti di questo, se viviamo in questa dimensione, se tutto questo da senso, alla nostra esistenza, ci lascia, tuttavia, esposti alla sofferenza, al dubbio, alla delusione, allo scoraggiamento, mai però alla disperazione, perché la nostra mano rimane sempre attaccata alla sua…

Su questa esperienza è fondata la nostra gioia.

Una esperienza, per molti versi simile alla esperienza umana dell’amicizia, dell’amore…

Lo potrebbero testimoniare tutti quelli che hanno avuto la fortuna, nella loro vita, di poter contare su qualcuno in mezzo alle difficoltà.

Si, le cose vanno male, ma menomale che ci sei tu!

Se non facciamo l’esperienza dell’amore, della vicinanza, della compagnia di Dio come fondamento nella nostra vita, non possiamo provare l’esperienza della gioia, la “roccia” sulla quale è fondata la nostra casa. Soffiarono i venti, dice Cristo, strariparono i fiumi, ma essa rimase salda.

Attenzione: non è che manchino le bufere e le difficoltà. La gioia cristiana non nasce dall’assenza di guai, ma dalla certezza che nessun guaio la vincerà nei confronti della fedeltà di Dio.

Ecco perché la gioia che viene da Dio è non solo un dono, ma soprattutto un compito.

E’ il dono della fede nella presenza di Dio nella storia.

Si nutre della speranza che Dio, anche attraverso i miei piccoli gesti, realizzerà i suoi progetti.

Ma si realizza nella carità…; e, come l’amore, “non la trovi per terra come un sasso, ma la devi fare come il pane, e rifarla continuamente e poi rifarla di nuovo”.

Si manifesta nella vita attraverso quell’ottimismo di fondo che dovrebbe caratterizzare gli atteggiamenti del cristiano.

Si manifesta nella assemblea cristiana, nella “Eucaristia” che significa “ringraziamento gioioso”. Se una messa è triste, noiosa, barbosa, se ci lascia più scoraggiati e demotivati di quando siamo entrati, non è più “Eucaristia”, bisogna cambiarle nome, c’è qualcosa che non funziona, è meglio evitarla…

Per questo mi viene di ringraziare questi ragazzi che si preparano per rendere belle le nostre assemblee. Sono un segno della gioia di Dio.

Esaminarci sulla gioia è forse il test più inquietante per scoprire la maturità umana, la maturità della fede.

Mi è venuto difficile coniugare questa dimensione della gioia cristiana con quanto ha detto il papa alla udienza generale dello scorso mercoledì 11 dicembre, commentando un brano di Isaia, e parlando del “disgusto” di Dio per i mali del mondo.

“Disgusto”, una parola che ha riempito tutti i giornali.

Forse una errore di traduzione.

Come cristiano capisco di più un Dio angustiato che un Dio disgustato.

Certo, sulla malvagità umana non ci piove. Sul fatto che ci stiamo distruggendo con le nostre mani, nemmeno. Sulla evidenza che stiamo perdendo la bussola, neppure.

Ma, da Gesù Cristo in poi, è un po’ difficile immaginare un Dio disgustato; magari rammaricato, addolorato, innamorato deluso dal mondo che, se sono vere le parole di Giovanni ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito per salvarlo.

Una delusione che prima di valere per il mondo, dovrebbe colpire per primi noi, i cristiani.

Perché noi, consapevolmente, abbiamo scelto di essere “Parola di Dio”.

Noi coscientemente abbiamo optato di reincarnare Cristo, di essere voce che grida, magari nel deserto, come Giovanni, per preparare le vie del Signore.

Noi dovremmo essere la parola, la manifestazione di Dio, del suo amore nel mondo, gli altoparlanti cui Dio ha affidato il suo messaggio.

Noi, gli altoparlanti che non funzionano.

Leggevo, su tutto questo, un commento di Massimo Cacciari.

“Davanti alla tragedia non del silenzio di Dio, ma di questo non ascolto del silenzio di Dio, la chiesa dovrebbe dire chi sono i sepolcri imbiancati, i mercanti del tempio, i mercanti di guerra. dovrebbe cominciare a indicarli col dito. Così facevano i profeti davanti ai re, rischiando di essere lapidati.

La grande differenza è che oggi tutti vanno a baciargli l’anello.

Noi sappiamo che Cristo, parola di Dio, ci ha rivelato le sue intenzioni, lasciando a noi il compito di realizzarle confidando nellal sua fedeltà.

E’ questo il motivo della nostra trepidazione ma anche della nostra gioia e della nostra speranza.

Preghiamo perché ci aiuti a testimoniare questa fiducia e questa responsabilità nella nostra vita.

Tags: , , , , Omelie

Scrivi un Commento


Warning: Undefined variable $user_ID in /membri/sspietroepaolo/wp-content/themes/mymag/comments.php on line 51

(required)

(required)


Che siano una cosa sola

RIT. Che siano una sola cosa, perchè il mondo veda che siano un solo amore. perchè il mondo creda....

Il cantico delle creature

A te solo Buon Signore Si confanno gloria e onore A Te ogni laude et benedizione A Te solo...