Vogliamo vedere Gesù !

6 Aprile 2003 Nessun Commento     

Vorrei oggi, insieme a voi, nei limiti del possibile, entrare dentro le parole che abbiamo ascoltato.

Vogliamo vedere Gesù…

Dovrebbe essere il desiderio di ognuno di noi: vederlo per conoscerlo, conoscerlo per credere in Lui, credere per seguirlo.

“Se uno mi vuol seguire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche lui…”

Per conoscere Cristo bisogna seguirlo, seguirlo fino a dare la vita.

“Chi ama la sua vita la perde, chi odia la sua vita la salva, solo il chicco di grano che muore porta frutto…”

Non sono parole di un predicatore, di un moralista, di uno che può esprimere massime che non condivide, o proporre strade di cui non ha esperienza.

Gesù parla in prima persona, parla di se stesso: egli è dinanzi alla sua morte.

Lo lambisce l’ammirazione di un mondo lontano: sono dei greci, lo vogliono vedere.

E’ un uomo famoso ormai, la gloria la notorietà lo sfiorano. Ed egli reagisce dicendo ai suoi: “E’ venuta l’ora della mia gloria… ed è il momento della mia morte”.

Cristo non è l’uomo dei successi, colui che entusiasma le folle: anzi, quando l’applauso lo tocca, fugge solo, dice il vangelo.

Teme le follie collettive che sono uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo: l’alienazione delle folle che proiettano in un personaggio le proprie esigenze frustrate e se ne tornano a casa, dopo averlo esaltato, colme di consolazione.

Cristo rifugge da questa gloria, che è di questo mondo e del principe di questo mondo, ed indica come luogo di appuntamento universale con gli uomini non il suo procedere nel mondo facendo miracoli, ma il suo essere crocifisso ed ucciso.

E’ questo secondo lui, il punto di incontro fra tutte le creature e il mistero di Dio.

Abbiamo ascoltato dalle lettera agli Ebrei: “Nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lagrime a Colui che poteva liberarlo dalla morte”.

Gesù ha terrore della morte. Come è possibile?

In quanto uomo, dice qualcuno, non come Dio.

Non mi piace questa distinzione.

Se Dio non c’entra niente con l’umanità di Cristo, con le sue gioie, con i suoi dolori, con il suo ridere e il suo piangere, con il suo vivere e il suo morire; se in Cristo ci sono due facce: da un lato quella impassibile di Dio, dall’altra quella sofferente dell’uomo, se Cristo soffre solo come uomo, non coinvolgendo nel suo dolore il Dio che è Lui, perde valore l’incarnazione, perde significato la rivelazione di Dio attraverso Gesù.

Gesù non è una marionetta o un robot teleguidato.

Dentro di lui non c’è un Dio che guarda con tranquillità e noncuranza i dolori di un uomo, nella consapevolezza di non esserne toccato.

Cristo ci rivela un Dio che ha preso una carne, ha preso una pelle, per sperimentare sulla sua carne, sulla sua pelle, in tutto, la nostra condizione umana.

Se Egli ha paura di morire, rifiuta la morte, piange, grida, è Dio che ha paura della morte, che piange, che grida.

Questa immagine ci sconcerta: noi immaginiamo Gesù che va verso la morte come ci va un Dio sapendo che la morte non lo tocca.

Invece lo tocca perché capisce la morte più di noi ed appunto perché la capisce più di noi, ne percepisce tutta la negatività, tutta l’assurdità.

In noi uomini c’è una certa affinità con la morte; noi ci abituiamo a vedere morire ed a morire più di quanto non sembri.

Mille e cinquecento morti in Iraq, 50 morti ogni fine settimana sulle strade, un morto ieri a Picanello… nel nostro mondo sembra più difficile nascere che morire.

Soltanto chi conosce la vita e la possiede in sé ha ripugnanza per la morte che è il negativo assoluto.

L’amore vince la morte. Non è una verità che vale per noi, o almeno che vale sempre per noi. E’ una eccezione nella vita umana che l’amore vinca la morte.

Questa verità vale per Dio.

Con Gesù Dio che entra nella morte. Ecco perché la vince, ecco perché risorge. La risurrezione appare come l’esito finale di questa sconfitta della morte, di questa sconfitta che la morte ha ricevuto, in virtù del suo amore per tutti gli uomini, perché non c’è forza che possa vincere l’infinito negativo della vita se non l’amore infinito di Dio.

Anche noi allora, se vogliamo amare veramente la vita, perché a questo siamo chiamati, dobbiamo accogliere dentro di noi, senza rifiuti, lo spessore immenso delle tenebre in cui siamo inseriti.

L’amore della vita non deve basarsi su una menzogna.

Il vero modo di sconfiggere la morte non è di fuggire ma di affrontarla nell’amore; il vero modo di sconfiggere il male che corrode l’umanità non è di metterlo ai margini, ma di metterlo al centro. Dobbiamo costruire una città – è un’utopia, ma l’utopia diventa regola di ogni comportamento morale e politico – una città in cui i deboli siano al centro, in cui i lebbrosi non siano costretti a star fuori dall’accampamento, ma davanti alla attenzione di tutti.

E se noi vogliamo dare un senso allo spettacolo che tante volte ci affanna: al pensiero di tutte le morti inutili, di tutti coloro che vivono nella menomazione permanente, delle persone legate ad un letto di dolore fin dalla nascita, di tutti coloro che le guerre sterminano a centinaia di migliaia, degli otto milioni uccisi nei campi di concentramento, dei morti di questi giorni in Iraq, se vogliamo dare un senso a questa vita sperperata senza spiegazioni, a questo negatività immensa ed anonima, di cui non parlano i nostri libri di storia e di cui noi non abbiamo se non una piccola coscienza, se vogliamo dare un senso a tutto questo, non dobbiamo più pensare che solo coloro che hanno conosciuto Gesù Cristo sono salvi.

L’essere in Cristo non è un fatto di adesione soggettiva, ma di oggettiva appartenenza.

Tutti coloro che entrano nel non senso, tutti coloro che non hanno nella vita la risposta ai loro desideri, alle loro attese, abitano in questa presenza che Dio ha posto nella carne del mondo: la presenza del crocifisso.

Chi soffre, chi muore inutilmente, gratuitamente chi è schiacciato dalla prepotenza è già, per noi, dentro il mistero dell’amore di Dio.

Il problema moralistico dei meriti, del guadagno del paradiso lo abbiamo inventato noi.

Nella oggettiva volontà di Dio tutte le immense folle che sono entrate nella morte e nella distruzione senza consolazione sono dentro quest’ombra dove abita il fermento dell’amore onnipotente di Dio.

Dietro la parete di tenebra non c’è il vuoto, c’è “Qualcuno”, e chi entra nelle tenebre per malizia del mondo, per la prepotenze del mondo o per deficienza della natura, entra nell’amore di Dio.

La morte ha tentato di lambire Dio.

Cristo morendo ha distrutto la morte.

Se il chicco di frumento non muore, rimane solo, se muore porta molo frutto.

Per vincere la morte bisogna passarci dentro.

Per recuperare lo spessore del positivo, dobbiamo avere il coraggio di attraversare, anche con forti lagrime e grida, tutto lo spessore del negativo.

Dalla esperienza di Cristo, dobbiamo imparare anche noi a dare la vita.

Se ami la tua vita la perdi, e se la perdi la salvi.

La tua vita, la puoi tenere stretta per te, nel tentativo di conservarla, o puoi donarla, offrirla, ed allora te la ritrovi salvata, moltiplicata, risuscitata.

E’ il senso del cristianesimo, della risurrezione, della Pasqua che viviamo ogni giorno e che, fra poco ci accingiamo a celebrare.

Perché Cristo ci aiuti non solo a celebrarla, ma viverla, preghiamo!

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