Se sei re, salva te stesso!

21 Novembre 2004 Nessun Commento     

“Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio”.

Cristo, se avesse voluto, avrebbe potuto salvarsi dalla sofferenza e dalla morte?

E se poteva, perché non lo ha fatto?

Può sembrare una questione oziosa, un inutile problema, ed è invece un interrogativo che fa pensare, la cui soluzione, in un senso o nell’altro, produce conseguenze immediate e concrete

per la nostra vita.

Guardiamo attentamente dentro noi stessi, guardiamoci attorno… constateremo che, da che

mondo è mondo, tutti pensano che sia normale, legittimo, naturale spontaneo, salvare se

stessi.

E’ l’istinto di conservazione, una legge che noi, senza alcuna difficoltà, trasferiamo dalla sfera

biologica a quella umana: il pesce grosso mangia il pesce piccolo, la difesa è legittima, la

guerra giusta, la pena di morte…

“Mors tua, vita mea… “

E’ un latino facile: se è in gioco la vita, se si impone una scelta preferisco la tua morte in

cambio della mia.

E’ un principio riconosciuto universalmente valido, anche all’interno delle più recenti

formulazioni apparse nel Nuovo Catechismo della Chiesa.

E’ legittimo in ogni occasione, salvare se stessi, il proprio denaro, i propri interessi, il proprio

benessere, il proprio tempo, la propria vita.

Davanti alla mentalità più diffusa è cretino chi si comporta diversamente… , a ragione o a

torto, non ha importanza.

Sotto questo profilo, diciamolo subito, Cristo è il primo degli sprovveduti. Preso in giro,

umiliato, insultato… non si difende.

Che stupido! Può e non fa!

Quanto meno è un millantatore. Non aveva detto di essere il Figlio di Dio?

Non è vero!

Se così fosse si salverebbe, sfuggirebbe alla morte, umilierebbe i suoi nemici, dimostrerebbe la

sua potenza, la potenza di un dio.

Così lo insultano, i capi politici e religiosi, i soldati, i malfattori, tutta gente che a salvare se

stessi, a giustificarsi, a restare sempre a galla, è abituata.

Ma è proprio questa debolezza che dobbiamo capire.

Cristo non reagì, distruggendo i suoi nemici, non salvò se stesso. E non perché fosse un

debole, non perché fosse solo un uomo, ma proprio perché era Dio, perché era Figlio di Dio,

l’immagine, come ci ha detto Paolo, del Dio invisibile.

Se si fosse salvato con forza e potenza non il volto di Dio avrebbe rivelato, ma una sua

caricatura.

Perché Dio è amore e l’amore è ciò che, più di ogni altra cosa, rende esposti, deboli, indifesi…

Cristo, sulla croce, capovolge l’immagine tradizionale di Dio.

Perché, da sempre, presso tutti i popoli e tutte le culture, l’esperienza religiosa è associata a

quella di “potenza”.

Dio è sentito e presentato come colui che può tutto senza limiti di tempo e di spazio. In questo

egli si distingue dagli altri esseri che non sono divinità.

Nello scontro fra le diverse religioni la divinità definitiva e vera è quella che si dimostra più

efficace e potente delle altre.

Da questa concezione della divinità derivano tante cose.

Proviene, per esempio, quel connubio che si è sempre storicamente creato fra la religione e le

varie forme del potere politico.

L’esperienza religiosa con la sua forza di aggregazione e di consenso viene utilizzata per

legittimare e sostenere il potere. A sua volta l’apparato politico appoggia la religione, la

difende, e può diventare uno strumento per l’affermazione, la propaganda e l’espansione

religiosa.

E’ sempre avvenuto così, particolarmente con le grandi religioni istituzionalizzate. E’ avvenuto

in forme macroscopiche: pensate al rapporto fra chiesa e impero nel Medioevo. Avviene così

ancora adesso, in forme più sofisticate e sottili, ma sempre rientranti nella stessa logica.

Basta pensare ai fatti cui accennavamo domenica scorsa.

Ma, torniamo al discorso di fondo.

Cristo, sulla croce, rivela e rende presente Dio come antipotere, come potere rovesciato

rispetto a quello della logica mondana. Al potere che reprime per mezzo della tortura e della

morte, in Cristo crocifisso, si contrappone la forza di un amore che rigenera e rinnova le

relazioni umane.

Ma la religione come “forza”, “potenza” non si rivela solo nei rapporti fra le religioni e il potere

politico.

Il suo primo guasto lo produce nella esperienza religiosa individuale.

La religione, spesso, viene usata per salvare se stessi. Per essere liberati dai mali, per essere difesi dai guai, per crearsi uno scudo contro gli imprevisti della vita…

Questa non può essere la religione di Cristo.

Quella imprecazione: “Ha salvato gli altri, salvi ora se stesso”, al di là delle intenzioni di chi l’ha

pronunziata è Vangelo, annuncia un messaggio, fa comprendere l’atteggiamento fondamentale

che è di Cristo e di ogni cristiano: “Salva gli altri non te stesso. Dona la vita E attendi la tua

salvezza solo dall’amore di Dio.

Cristo ha svuotato il significato delle nostre parole, e le ha riempite di contenuti diversi.

Regnare, potere, morire…

Regnare per noi significa dominare, per lui servire…

Morire per noi significa finire, annullarsi, per Lui risorgere, ricominciare…

Potere per noi significa star sopra, per lui porsi accanto agli altri per salvarli.

Questo è il messaggio della regalità di Cristo.

Ma quali atteggiamenti questa celebrazione, deve produrre oggi nella nostra vita?

Perché non basta capire.

Lo scopo della nostra presenza qui è la conversione, il cambiamento.

Io credo che il primo atteggiamento che questo discorso deve produrre in noi è la libertà, la

libertà dei figli di Dio.

Cristo è il mio Signore. Non ho altro Dio all’infuori di Lui. Verso nessun uomo potrò assumere

un atteggiamento di servilismo. Non posso e non debbo inchinarmi e strisciare davanti a

nessuno.

E contemporaneamente: Ogni uomo, ogni donna, ogni mia sorella, ogni mio fratello è come

me. Dove c’è un uomo che sottomette un altro uomo, c’è un sopruso contro la regalità di

Cristo. E se questo sopruso è fatto in nome di Dio, è un sopruso e una bestemmia.

Il secondo atteggiamento che dobbiamo acquisire è la capacità di contestare il potere,

all’interno di noi stessi, nella chiesa, nella società.

All’interno di noi stessi

Gli psicologi dicono che la libido del dominio è fra gli istinti fondamentali della nostra vita,

tanto potente quanto camuffabile…

Spesso noi lo chiamiamo amore, affetto, protezione, interessamento; ed in fondo altro non è

che dominio mascherato.

In secondo luogo all’interno della chiesa. In essa purtroppo insieme a tante cose bellissime

sopravvivono e sopravviveranno chissà ancora per quanto tempo, distinzioni, gerarchie, titoli e

gradini, superiori e sudditi…

Ma la forma più difficile è la contestazione del potere nella società.

E’ necessario sottrarci non solo ai poteri manifesti e ai poteri occulti, imparare a pensare con la

propria, sfuggire alla facile demagogia che oggi impera da tutte le parti e da tutti gli schermi.

Abbiamo passato un momento magico per il nostro paese, un momento in cui sembrava che il

potere avesse rivelato la sua vera faccia, i suoi soprusi, la sua corruzione, i suoi furti, le sue

malversazioni, le sue collusioni con la delinquenza e con la mafia…

Il rischio più grave non è che su tutto questo passi il colpo di spugna di chi governa. Direi anzi

che questo tentativo è normale.

Il rischio più grave è che il colpo di spugna passi nella nostra coscienza, che si cancelli nella

gente e nei cristiani il desiderio di onestà, di correttezza, di pulizia, di ricerca del bene comune.

Abbiamo oggi percepito le gravi responsabilità che abbiamo davanti a noi stessi, davanti alla

società, davanti alla chiesa.

Riflettiamo e preghiamo insieme perché Cristo ci aiuti a ripetere la sua testimonianza.

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