Santa Famiglia

26 Dicembre 2004 Nessun Commento     

Il secondo sabato dopo l’Epifania, mi pare che sia il 15 di gennaio, inizia in parrocchia il “Corso dei fidanzati”. Una trentina di coppie, sessanta persone circa, ma probabilmente molte di più (perché il tetto che fissiamo si sfonda sempre), si incontrano per una decina di sabati per ottenere alla fine un certificato che, aggiunto agli altri pezzi di carta, dia loro il lasciapassare per celebrare in una chiesa le loro nozze.

Dico in una chiesa e non in chiesa perché celebrare il matrimonio in chiesa vuol dire sposarsi davanti e insieme con la comunità della quale si fa parte e della quale si vuole continuare a fare parte, condividendone l’esperienza cristiana ed umana, sposarsi in “una” chiesa, una chieasa qualunque, vuol dire affittare insieme al ristorante un locale sacro e cercarsi un prete disponibile per fare il matrimonio?

Vi dico queste cose oggi per affrontare in maniera immediata e familiare un argomento come quello della famiglia in generale e della famiglia cristiana in particolare che avrebbe invece bisogno di spazi molto ampi e di occasioni molto più dense.

Anche perché l’esperienza quotidiana è spesso contraddittoria e lacerante.

A noi preti, ci tocca di passare, in un arco di tempo molto ristretto da un eccesso all’altro.

Come in questi giorni: una ragazza sposata di recente che mi parla della straordinarietଠdella bellezza, della unicità della sua esperienza matrimoniale, e di una coppia, che subito dopo, sposati anche loro da qualche anno, ma profondamente in crisi, mi chiedono se ci sono gli estremi per un annullamento?

Che cosa è la vita a due?

Una combinazione di forze per sopperire alla propria debolezza, un’opportunità per possedere una casa propria, una modalità socialmente accettata per allontanarsi dai propri genitori, una fuga dalla solitudine, un sacrificio dettato dalla compassione, un effetto indotto dalla fascinazione o dall’ammirazione, un aiuto reciproco fondato sul denaro, un’ascesa sociale garantita dal prestigio di un nome, un estremo rimedio contro l’insonnia o contro la dispepsia, un’autorizzazione a procreare, un sedativo contro l’eccesso passionale, una via d’accesso all’adulterio, un’anticamera alla separazione, un espediente per sentirsi normali, un modo per non destare e sospetti e curiosità, una casa di riposo per la vecchiaia, una casa di piacere, o una camera di tortura?

E che cosa è la famiglia e il matrimonio?

Un luogo nel quale si cristallizzano gli egoismi e le incomprensioni, chiusa alle esigenze della realtà che ci circonda, una cappa che limita la libertà. Una festa in un palazzo meraviglioso alla quale chi è fuori anela di entrare, mentre chi è dentro fa di tutto per andarsene via, o una esperienza nella quale può venire, notate, “può” quella intesa profonda e particolare fra due esseri umani, quella complicità quella profondità di un rapporto che nessun altra esperienza al mondo può dare?

E che cosa c’entra Gesù con tutto questo?

Quale specifico aggiunge, se lo aggiunge, la dimensione cristiana, alla esperienza fondamentalmente umana della vita in comune di un uomo e di una donna?

Questa santa famiglia, di cui oggi celebriamo la festa, perché santa? E può esser un modello per un uomo e una donna che vogliono insieme realizzare una esperienza cristiana di vita?

Non voglio fornire risposte preconfezionate oggi.

L’argomento è troppo importante per liquidarlo in poche battute quest’anno, aspettando la prossima festa della santa famiglia, nel 2005 per dire le stesse cose.

E’ mia intenzione, invece, far nascere delle domande nella nostra testa.

Nella testa delle persone sposate perché è sempre migliorabile il rapporto di coppia, nella testa delle persone che hanno intenzione di sposarsi, perché non ci si prepara mai abbastanza, nella testa di ognuno di noi, perché tutti, o per dritto o per traverso viviamo in una famiglia.

Non esiste, purtroppo, nella nostra comunità un aiuto particolare alle famiglie, la possibilità di uno scambio di esperienze, delle occasioni nelle quale ci si incontra per arricchirsi vicendevolmente della propria esperienza umana fecondata dalla parola di Dio.

Ci abbiamo tentato ma è durato poco.

Anche perché, visto che è nostra convinzione che i panni sporchi si lavino in casa, è molto difficile creare un clima di fraternità di confidenza nel quale si sia capaci di discutere problemi che molto spesso riguardano la propria vita e la propria intimità.

E allora?

Allora niente. Vi suggerisco solo alcune osservazioni di un laico, un giornalista, probabilmente ateo, che in un articolo sulla famiglia e sul matrimonio, recentemente pubblicato su Repubblica, mi sembra tocchi il nucleo fondamentale per la riuscita del matrimonio e della famiglia anche dal punto di vista cristiano.

Uno spunto per pensare.

In questo articolo egli distingue l’amore come passione dall’amore come fedeltà.

Se il matrimonio si fonda solo sull’amore passione, per il solo fatto di essere una promessa irrevocabile, può diventare, come dice Tolstoj, un inferno.

Ma la passione è l’unico modo in cui può declinarsi l’amore? Se la passione è patire per l’altro, non si può dare un amore che invece di “patire”, “agisce”, che invece di declinarsi solo sul versante della passione, trascinata dalla discontinuità delle sue oscillazioni, decide in modo irrevocabile, e, a partire da questa decisone, non subisce l’amore, ma lo crea?

La fedeltà è assurda almeno quanto la passione, ma dalla passione si distingue per un costante rifiuto di subire i suoi estri e i suoi mutamenti, per un costante bisogno di agire per l’essere amato, per una costante attenzione alla realtà che cerca non di fuggire, ma di dominare.

Un amore così inteso fonda la persona.

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