Io sono la risurrezione e la vita…

13 Marzo 2005 Nessun Commento     

Queste parole esprimono immediatamente il significato del prodigio, del segno, compiuto da Cristo, l’ultimo dei sette segni che Giovanni narra nel suo vangelo, la risurrezione dell’amico Lazzaro.

La risposta di Cristo a Marta presuppone una domanda; una domanda che certamente, qualche volta, ci siamo posti nella nostra vita…

Nei momenti tranquilli, quando tutto va bene, in maniera accademica, filosofica; qualche altra volta, drammaticamente, quando qualcosa di grave ci tocca da vicino, qualcosa che ci sconvolge, un problema cui non sappiamo trovare una spiegazione… Ma perché avviene questo, perché?

Qual è il senso della vita? Che campiamo a fare?

E’ la domanda più importante della vita. Il perché che sta al fondo di tutti i perché.

Solo l’uomo fra tutti i viventi, è in grado di porselo, quest’interrogativo che qualifica la sua esistenza, che lo caratterizza come uomo. Possiamo glissarlo. Possiamo evitarlo distraendoci, sotterrandolo ogni volta che viene a galla.

Ma qualche volta nella vita ci prende alle spalle e non possiamo farne a meno.

Sono innumerevoli le risposte risposte. Tante quante le donne e gli uomini del mondo. Perché ognuno di noi, anche se non parla, testimonia con la vita la sua soluzione.

Fra le tante soluzioni possibili, si staglia oggi, sullo sfondo della tomba di Lazzaro, quella di Cristo: “Io sono la vita”.

Di questa risposta oggi dobbiamo parlare se siamo qui, se siamo cristiani; con questa risposta dobbiamo confrontare le nostre per scoprire che, solo se calibrata sulla sua, anche la nostra vita potrà acquistare significato, potrà valere qualcosa, sarà salvata.

“Tu sei la mia vita, altro io non ho!”, cantiamo ogni tanto insieme.

“Vita mia!” Due brevi parole che hanno risonanze profonde. Ce le siamo sentite dire, le abbiamo dette a qualcuno che amiamo.

Significa: sei parte di me…, sei dentro di me…” Senza te, morirei…, mi pare cantasse Baglioni qualche anno fa…

Le diciamo quando il senso della vita non è dato da una ideologia, da un obbiettivo da raggiungere, l’arte, i soldi, la carriera, ma dalla profonda comunione di vita con qualcuno che amiamo; ed è partendo da questa esperienza che possiamo afferrare il significato essenziale della Parola che abbiamo ascoltato.

E’ un discorso di fondo difficilmente riassumibile nel breve spazio di una omelia, ma tentiamolo insieme!

Andiamo direttamente alla parola di Dio.

Per la bibbia, l’uomo che coscientemente fa a meno di Dio è poco meno che un morto:

La sua esistenza si dipana ad un livello pressoché puramente biologico, l’uomo nasce, cresce, si riproduce, muore, e non sa nemmeno il perché.

Il suo orizzonte è la “carne” nel linguaggio di Paolo, è la dimensione dell’egoismo puro. Le sue aspirazioni non vanno al di là della cerchia dei suoi interessi immediati e personali. Non conosce la dimensione della gratuità.

A quest’uomo, schiavo di se stesso, dei suoi limiti, dei suoi peccati, Dio viene incontro – è il cammino quaresimale che abbiamo fatto insieme – offrendogli la libertà, l’acqua, la luce, ed oggi, la vita, la possibilità cioè di vivere una vita da uomo, secondo il progetto di Dio, di salvarsi.

Perché la salvezza non è una dottrina, un insegnamento, un culto, una religione, ma un fatto: l’incontro con Cristo, un uomo rifatto, ricreato secondo l’immagine di Dio, un uomo pieno dello spirito di Dio, della vita di Dio che è amore, apertura, dialogo, solidarietà, partecipazione.

Credere in Cristo, come la samaritana, come il cieco nato, come Marta e Maria, vuol dire affidarsi a Dio per mezzo di Lui, fidarsi delle sue proposte, alle quali viene agganciata non una felicità estrinseca, posticcia, ma quella che deriva dalla piena realizzazione di se stessi, della propria umanità.

L’accoglienza consapevole di Cristo nella propria vita, ci fa morire a ciò che è vecchio, carnale, e risorgere con lui e come lui uomini nuovi, trasformati, lo dicevamo domenica scorsa, nella bontà, nella giustizia, nella verità.

Ecco la risurrezione, simboleggiata nel battesimo, quella trasformazione prodotta che l’incontro con Cristo produce, una risurrezione vera, ma magica, né solo psicologica.

Non magica, perché ha bisogno di un lungo cammino di crescita.

Non solo psicologica, come avviene, per esempio in una delle più caratteristiche esperienze della nostra vita, quella dell’innamoramento.

Chi di noi ha fatto questa esperienza lo sa: nell’innamoramento tutta la persona viene profondamente ristrutturata, riorientata, verso quel nuovo obbiettivo che è la persona amata. Nell’innamoramento si cambia, si diventa diversi. Se qualcuno entra prepotentemente nella tua vita ristruttura i tuoi sentimenti, i tuoi pensieri, cambia perfino i tuoi valori, le tue abitudini, le tue scelte.

Anche l’incontro con Cristo è un incontro d’amore. Se l’amore umano trasforma, anche l’amore di Dio può farlo, e l’amore di Dio è il suo Spirito che ti riplasma, attraverso l’esperienza cristiana, cioè attraverso la costante, faticosa, continua sequela di Cristo.

Quali sono gli effetti di questo cambiamento?

L’amore rende simili.

Ora Cristo è uomo, profondamente uomo, aperto verso tutti gli altri esseri umani.

Contemporaneamente è figlio di Dio, cioè ha un rapporto, diretto, ontologico, con Dio.

Queste due dimensioni, come un angolo retto, quella orizzontale e quella verticale sono inseparabili, non solo, ma la crescita dell’una favorisce la crescita dell’altra: l’apertura agli uomini mi avvicina a Dio, l’avvicinamento a Dio mi apre di più agli uomini.

Tutta la bibbia, ma specialmente il nuovo testamento è pieno di queste cose. Lo dice Cristo a Nicodemo, lo ripete ai primi cristiani Paolo nelle sue lettere.

I catechisti che stanno, da tre mesi a questa parte, riflettendo su queste cose, lo sanno bene. Questo è risorgere: passare dalla sete all’acqua che zampilla per la vita eterna, (è il vangelo della samaritana) passare dalle tenebre alla luce (il cieco, domenica scorsa) passare dalla morte alla vita (Lazzaro)

E la Pasqua!

Pasqua significa appunto passaggio, cambiamento, risurrezione.

Una risurrezione che avviene già ora qui e che è il pegno della risurrezione futura.

Perché non c’è nessuna risurrezione nell’aldilà se non ha messo la radici nell’al di qua. E’ umano aver paura della morte, ma è cristiano superare questa paura, perché il cristiano su questa terra sa, sperimenta, vive dentro di se le dimensioni della vita eterna.

Per questo credere è fare.

Tu credi nella risurrezione ed hai diritto di sperare nella risurrezione se ti commuovi all’idea che c’è un affamato che attende il pane, altrimenti la tua speranza è abusiva.

Tu sei degno di sperare nella resurrezione della carne se ti fai solidale con tutti i disperati di questo mondo che sono torturati ed oppressi altrimenti la tua speranza è abusiva.

In una recente sondaggio l’84% degli intervistati diceva di essere cristiano, ma solo il 46% affermava di credere nell’al di là, e di questi solo il 14% credeva nella risurrezione.

Certo! Perché credere non è una tradizione familiare o un costume sociale: è una esperienza di vita. Se non sperimenti dentro di te la tua risurrezione, se non fai avvenire la risurrezione attorno a te non puoi immaginare e sperare il futuro di Dio!

Ecco perché oggi il termine cristiano è abusato! Il “non possiamo non dirci cristiani” di Benedetto Croce, è quella infarinatura di cristianesimo che lascia intatto il nucleo pagano delle nostre convinzioni, dei nostri riti, delle nostre feste popolari, addirittura del nostro agire morale.

La chiesa è diventata un’agenzia morale. Predica a tutti ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare.

Ma in questo modo, l’uomo, ogni uomo, è messo davanti alla legge. La legge morale che addirittura si tende a far diventare, anche in casi delicatissimi, in cui ciò che conta è la coscienza, legge dello stato. In questo modo si alimenta la disperazione. Perché l’uomo oggi si trova solo davanti ai suoi obblighi morali e sempre più impotente ad osservarli.

Forse il compito della chiesa è diverso: è annunciare Cristo; far entrare Cristo nella vita della gente, particolarmente nella vita di chi sceglie di essere cristiano, e mostrargli come la forza per fare il bene, per scegliere la strada giusta non deriva dalle sue forze, ma dalla forza, dalla vita che lo Spirito di Cristo crea dentro di lui.

Non so se sono riuscito a far balenare davanti ai vostri occhi la bellezze e l’importanza del messaggio di oggi. Ma voglio affidarmi, più che alle mie parole, alla vostra intelligenza ed alla grazia di Dio. Pregando insieme a voi lo Spirito perché ci faccia entrare nel vero senso della Pasqua cristiana e ci dia la gioia, fra breve, di celebrarla autenticamente nella nostra vita.

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