Perché state a guardare il cielo?

5 Maggio 2005 Nessun Commento     

Vorrei rubare al tema di oggi solo qualche minuto per gettare uno sguardo

panoramico sul mese che ci sta davanti ed sulle domeniche che ne punteggiano lo

svolgimento.

E’ utile farlo perché la nostra fede non matura attraverso interventi episodici e

slegati, ma è un cammino le cui tappe ci fanno diventare sempre più simili a Cristo.

Da oggi al 29 maggio ogni domenica è una festa.

Ascensione, oggi.

Pentecoste, domenica prossima.

La Trinità, il 22 maggio.

E, finalmente, la festa del Corpo e del Sangue del Signore, il 29.

Ascensione, Pentecoste e Trinità non sono altro che tre modi diversi di dire Pasqua,

la festa, l’unica vera festa dei cristiani, che abbiamo celebrato 40 giorni addietro.

Questo numero “40” che ritorna spesso nella Bibbia ed indica il tempo necessario

per capire, per maturare, per crescere all’interno di una esperienza.

Pasqua è l’evento fondamentale.

Cristo risorto è il primogenito di una uova umanità, il primo di una serie di donne

e uomini nuovi, capaci di assumersi le loro responsabilità.

E’ la festa di oggi.

Animati dallo Spirito, ed è la Pentecoste, allo scopo di costruire qui, sulla terra il

Regno di Dio, il cui modello è la Trinità, perché tutti diventiamo un solo corpo, ed è il

Corpus Domini.

Questo quadro, nonostante sia spezzettato nel tempo, sia per motivi pedagogici che

per motivi celebrativi, va colto nel suo insieme per essere compreso e vissuto in

maniera adulta da chi vuole maturare i contenuti della propria fede.

Oggi celebriamo ed interiorizziamo il dono della responsabilità, il dono dell’amore

nel giorno di Pentecoste, il dono del progetto di Dio nella domenica della Trinità, e

finalmente, nella festa del Corpus Domini, il dono del Corpo di Cristo nella Eucaristia

e nella comunità.

Su questo sfondo, torniamo all’Ascensione.

“E’ bene per voi che io me ne vada…”

Questa frase pronunziata da Cristo, prima della sua partenza definitiva, tampona il

rammarico, il turbamento, lo smarrimento dei discepoli.

Perché?

Forse perché la scomparsa del leader, del capo, del maestro, fa parte dello scopo che

il vero capo, il vero maestro vuole raggiungere: far diventare adulti, far crescere, far

maturare, rendere responsabili delle proprie scelte i suoi discepoli.

Cristo, pensando alla sua chiesa, non ha pensato ad un gregge, a persone che devono

in eterno rimanere infantili, senza iniziativa, senza parola, senza autonomia, senza

braccia e piedi, che non sarebbe poi tanto grave, ma ciò che è più grave, senza testa,

cioè senza la capacità di compiere uno sforzo personale, diretto, per confrontare la

propria vita, la realtà, i problemi con il Vangelo. Capaci di testimoniarlo Cristo, non

perché obbligati da una legge sia essa della chiesa o dello stato, ma spinti interiormente

da quello Spirito che fa vedere le cose alla luce di Dio.

Spesso noi preti siamo solo diventati dei consultori morali: Questo si fa, questo non

si fa, fin qui puoi arrivare, da qui in poi, no… siamo entrati nelle minuzie, guardando

più alla materialità del gesto che alla intenzione, senza la preoccupazione di stimolare

le coscienze ad essere in prima persona responsabili delle proprie scelte e delle

conseguenze della proprie azioni.

“Padre, ho fatto l’amore col mio ragazzo, con la mia ragazza…”

Due le risposte possibili, ambedue non plausibili.

Non si fa, è peccato, l’inferno è aperto sotto i tuoi piedi…

Oppure, ma sì, che male c’è, sta tranquillo… Dio perdona tutti…

Ambedue le risposte sono deresponsabilizzanti.

La prima crea un individuo impaurito, bloccato e irresponsabile, che non saprà mai

godere delle gioie della vita.

E anche la seconda favorisce l’irresponsabilità, perché non abitua a valutare lo

spessore di problemi.

Hai fatto l’amore?

Bene. Quanto amore c’è? Che cosa è l’amore per te? Sei capace, nell’amore, di

goderne le gioie e di assumertene le responsabilità? Quanto amore manca nell’amore

che fai? All’interno di quale progetto è iscritto il tuo amore? Lo sai che un gesto

d’amore può essere monco, cioè egoistico, cioè peccato, anche fra due persone

regolarmente sposate?

Padre, per chi o per che cosa devo votare?

Me lo dica lei, valuti a posto mio, si informi per me, decida per me…

Ma ognuno di noi deve mettere sulle proprie spalle, non su quelle altrui la croce delle

sue decisioni.

Perché la tua guida non è chi pensa per te, ma chi ti insegna a pensare.

Il tuo maestro non è chi sceglie per te, ma chi ti insegna a scegliere.

Il tuo capo non è chi ti comanda, ma chi ti costringe ad essere una donna, un uomo,

e ad assumerti le tue responsabilità, anche quella terribile di sbagliare.

In questo modo Cristo è il nostro capo, il nostro maestro, la nostra guida.

Penso a tanti maestri che non vogliono partire, che non sanno abbandonare i

discepoli, perché non hanno saputo insegnare loro a camminare da soli.

Ad istruttori di scuola guida che ci lasciano sempre col foglio rosa.

A tanti genitori che non sanno, a poco a poco, abbandonare la mano dei loro figli,

perché non hanno insegnato loro a camminare.

A tanti preti che non fanno maturare la libertà dei figli di Dio, ma solo la passività e

la rinunzia al proprio punto di vista…

Non parliamo dei politici. Ve lo immaginate uno solo di quelli che quotidianamente

ci imboniscono dai manifesti e dai canali televisivi, che dica: “Bene, cari amici, dopo 5,

10, 20, 30 anni di onorato servizio, è bene per voi che io me ne vada?

Qualcuno se ne è andato perché costretto dalla scoperta delle sue malefatte, qualche

anno fa, ma è rimasto dietro l’angolo, e, passata la bufera, è già pronto a ritornare sulla

scena.

Cristo è un maestro che crea uomini, non automi, che ci salva, ci fa diventare cioè

quelli che siamo, ci responsabilizza, ci riempie di amore, che apprezza l’obbedienza

responsabile ma alla fine ci chiederà: Perché hai obbedito?

Hai capito e condiviso i motivi di chi ti comandava o hai scaricato su di lui le tue

responsabilità?

“Eseguivo degli ordini”, è la scusa addotta da tutti i criminali di guerra.

Cristo non ci dice di essere ribelli, ma credo che non si accontenterà di sentirci dire:

“Ho eseguito degli ordini”, ci chiederà il perché.

Si apre così davanti ai nostri occhi il campo delle nostre responsabilità.

Perché state a guardare il cielo?

Andate, battezzate nello Spirito, siate miei testimoni fino ai confini della terra.

Oggi più che mai, può essere terribile, traumatizzante, frustrante, guardare la terra.

Oggi più che duemila anni fa: Quando si viveva all’interno di un villaggio, quando

gli interessi delle persone si esaurivano nel raggio di qualche chilometro, quando un

avvenimento, se distante, arrivava attutito, dopo giorni, mesi, anni, o forse, non

arrivava mai.

Può essere terribile oggi per noi guardare la terra, perché, premendo un pulsante,

siamo in grado di far piombare, sulla tavola apparecchiata, fra il secondo e la frutta,

tutto ciò che avviene nel mondo intero, in tempo reale… dal fratello impazzito che

distrugge una famiglia, all’altro che è stato in carcere per stupro e omicidio e ne esce

per ricominciare, all’attentato che uccide gli innocenti, alla guerra che esporta la

democrazia a suon di bombe…

Già immersi nei nostri guai fino al collo, ed impotenti, per non impazzire o

diventiamo cinicamente indifferenti o diventiamo religiosamente distaccati.

E’ tanto bello guardare in alto…

Ma perché dobbiamo restare fedeli alla terra?

Il motivo è molto semplice: Perché Dio, perché Cristo in cielo non c’è!

Lo dice Lui stesso nel Vangelo: “Io sono con voi, tutti i giorni, fino all fine del

mondo”. Oggi non celebriamo la scomparsa di Cristo, ma la sua presenza.

L’Ascensione è un’immagine: vuol dire che Cristo, risorto, ha acquistato la capacità

di essere accanto, ad ogni uomo ed ad ogni donna, accanto ad ogni gruppo di persone

che decidono di rifare quello che ha fatto Lui: mostrare nelle parole e nei fatti la

presenza del Padre ed il suo amore.

Per portare gioia dove è tristezza, speranza dove c’è disperazione, pane dove è fame,

un bicchier d’acqua dove c’è sete, ottimismo dove c’è rassegnazione, libertà dove c’è

oppressione e di ingiustizia, vita dove c’è la morte, battezzando, immergendo non

nell’acqua ma nell’amore di Dio.

E’ questa la gioia del cristiano.

La gioia di collaborare con Cristo per realizzare il sogno di Dio.

Una gioia profonda, sostanziale, che si accompagna sì al rammarico per tutto ciò che

c’è ancora da fare, ma anche alla speranza che certamente si avvereranno le promesse

di Dio.

Con questi sentimenti, che potranno sembrare contraddittori, ma, che, se viviamo

l’esperienza cristiana sappiamo che non lo sono, continuiamo la nostra messa e,

soprattutto, la nostra vita.

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