Il Regno di Dio è un banchetto
9 Ottobre 2005 Nessun CommentoIl Regno di Dio è un banchetto, è un invito a pranzo, una tavola apparecchiata… ci dirà oggi la
Parola di Dio.
Ed anche questa Eucaristia, alla quale siamo stati invitati, è certamente un segno, un anticipo del
regno.
Segno di ciò che stiamo costruendo, anticipo del futuro che verrà.
Per celebrarla, allora, per viverla nel migliore dei modi, creiamo fra noi e il Padre che ci ha invitati,
fra noi e i nostri fratelli che sono stati invitati con noi, quella corrente di amore, di disponibilità, di
fiducia, di calore umano che rende bello, trovarsi e mangiare insieme…
Questo è il senso della invocazione che ora facciamo a Dio…
LETTURE
Dalle parole di Isaia al vangelo di Matteo Dio ci propone di partecipare al pranzo che Egli stesso ci
prepara.
Ascoltiamo con attenzione! Capiremo certamente cosa Dio si aspetta dalla nostra vita.
OMELIA
Che cosa vi aspettate, voi cristiani, dopo questa vita?
Se qualcuno ci ponesse questa domanda forse resteremmo un po’ interdetti…
Qualcuno resterebbe, imbarazzato, in silenzio, o balbetterebbe qualcosa, altri risponderebbero: il
Paradiso, ma senza troppa convinzione; forse, qualche persona colta, di quelle che sanno parlare,
userebbe qualche frase difficile e poco entusiasmante…
Gesù Cristo e Isaia sono diretti.
Per loro, non ci sono dubbi: l’al di là è un banchetto, proprio così, un pranzo, una occasione in
cui si sta bene, si gode, ci si trova fra amici, un pranzo in cui si mangia bene, addirittura un banchetto
di nozze.
Probabilmente ai tempi di Isaia e di Gesù i pranzi di nozze erano veramente occasioni straordinarie
di gioia, di incontro di comunione, di festa…
Forse, se Isaia e Cristo, avessero immaginato i pranzi di nozze dei nostri tempi, avrebbero usato –
chissà! – altri linguaggi.
Salvo qualche eccezione, almeno questa è la mia esperienza, raramente nei nostri banchetti di
nozze si riesce a creare qual clima che rende veramente piacevole stare insieme.
Gli sposi arrivano spesso con notevole ritardo mentre gli invitati svengono per la fame e la
stanchezza; fra una portata e l’altra si può fare tranquillamente una passeggiata, ognuno mangia per
conto suo; mentre abbozza un sorriso di circostanza per la foto ricordo, col vicino, ci si lamenta del
secondo che non è secondo i propri gusti, e se si va a capitare con qualcuno che ci è estraneo o
antipatico non si sa che cosa dire mentre si guarda l’orologio aspettando con ansia il taglio della torta
per afferrare la bomboniera e fuggire…
Eppure non c’è nulla di più bello che questa immagine, di mangiare insieme, fra amici, per
raffigurare il nostro futuro, quello che Dio prepara per tutti i popoli, e quello che egli vuole che noi
prepariamo insieme a Lui.
Perché questo è il sogno di Dio: che tutti gli uomini siano una sola famiglia, che possano sedere
insieme alla stessa tavola, che non ci sia fra di loro chi si abbuffa e chi muore di fame, e se tutto
questo non è possibile in paradiso, noi dobbiamo fare tutto il possibile perché non avvenga nemmeno
su questa terra.
Noi infatti distinguiamo, separiamo questa dall’altra vita.
Per Dio invece sono una cosa sola…
E siccome nell’al di là, la gioia sarà la comunione, la condivisione, l’amore, questa vita Dio ce l’ha
data per allenarci, per abituarci, per far maturare dentro di noi questo atteggiamento (è questa la veste
nuziale del vangelo?), senza di cui saremmo degli spaesati nel Regno di Dio.
Se quaggiù non abbiamo amato, se amare non è diventata la nostra seconda pelle, se non ci
siamo abituati ad amare là che faremo? Se qui non abbiamo condiviso, là con chi staremo? Se il
nostro cuore si è chiuso in questo mondo alle esigenze, ai bisogni, all’amore, alla compassione, come
potrà dall’altra parte aprirsi per contenere l’amore di Dio?
Perché il Paradiso e l’inferno ce li prepariamo noi, qui, sperimentandoli già fin da ora, su questa
terra…
Questa vita probabilmente ci è stata data per imparare ad amare, per imparare a godere, e,
siccome dall’altra parte l’unico godimento possibile è quello dell’amore, se non lo abbiamo imparato
da questa parte, non potremo farlo dall’altra parte…
Penso al coro che dirigo…questa vita sono come le prove, l’altra vita è il concerto…Se con tutte le
fatiche che ciò comporta non avremo imparato qui ad amare, cosa eseguiremo dall’altra parte?
Conoscete certamente quella storiella che ho sentito una volta da un missionario che veniva dalla
Cina.
Cosa hai capito, disse ad un cinesino il missionario, dell’inferno e del paradiso, prima di ammetterlo
alla prima comunione?
Nell’inferno, cominciò sicuro di sé il ragazzino, ai lati di una lunghissima tavola imbandita, stanno
seduti l’uno di fronte all’altro, le anime dannate…
Pronti ad intingere, al cenno capriccioso di un diavoletto il cucchiaio nelle scodelle di ottimo e
fumante riso, disposte a regolari intervalli… L’uno di fronte all’altro quei poveretti attendono un cenno
del diavoletto pronti ad immergere il cucchiaio nella scodella, e finalmente, cominciare a mangiare…
Al segnale, tutti si precipitano sul riso… ma c’è un grosso inconveniente.
I cucchiai, di cui sono forniti, hanno il manico lungo un metro.
Così l’impugnatura del cucchiaio è lontana dal riso. Ed ecco il disastro. Nessuno di quei poveretti
riesce a portare il cibo alla bocca, ma, urlando e imprecando, lo rovescia sul vicino, scottandolo,
sporcandolo, mentre a sua volta viene sporcato e imbrattato e impiastricciato di riso.
Un inferno!
Che termina al segnale del diavoletto: tutti smettono avviliti, in attesa del prossimo permesso,
sempre più morti di fame, ma tutto si ripete e va avanti così, all’infinito.
E il Paradiso? Chiede a questo punto il missionario aspettandosi chissà quale ristorante a cinque
stelle…
Il Paradiso, risponde il cinesino (e qui qualcuno immaginate sicuramente la finale), è esattamente
come l’inferno: una lunghissima tavola imbandita, ai lati del quale stanno felici e ben pasciuti i beati,
che attendono di mangiare davanti a fumanti scodelle di quello stesso riso che c’è nell’inferno.
Tranquilli, sereni, col cucchiaio in mano, un cucchiaio dal lungo manico perfettamente uguale a
quello usato all’inferno, attendono il suono del campanellino dell’angelo per cominciate a mangiare.
Dato il segnale, ognuno di loro immerge il cucchiaio nello stesso riso, e, col migliore dei sorrisi, lo
offre al commensale che gli sta di fronte il quale fa la stessa cosa con lui…
Io non so se la storiella è vera, ma è certamente bene inventata.
E ci fa intuire da dove derivano tutti i guai nei quali siamo immersi in questo mondo, tutti gli inferni
dei quali siamo vittime o carnefici, e che cosa Cristo ci ha mostrato per eliminarli.
Per questo siamo qui.
Per imparare a costruire fin d’adesso questo Regno di Dio lontano da noi..
Lontano dalla fame e dalla sete, di cui, in una terra che abbonda di cibo, soffrono milioni di essere
umani.
Lontano dalle miserie che ci passano accanto e delle quali stentiamo a prendere coscienza.
Lontano da quei marocchini che scalano le mura della Spagna, lontano da chi, giunto,
“illegalmente”, nella nostra terra, viene poi portato in aereo a morire nel deserto.
Lontano da quelli ospitati (si fa per dire) nei centri di accoglienza (anche qui si fa per dire) di
Lampedusa.
Avete letto sull’Espresso di questa settimana quel servizio sconvolgente di un giornalista italiano,
Fabrizio Gatti, che per otto giorni si è finto clandestino, per capire come i clandestini sono trattati?
Si è fatto ripescare in mare con altre centinaia di disperati e si è fatto rinchiudere in un centro di
permanenza temporanea.
Anche lui come tutti gli altri, picchiato e umiliato dalle forze dell’ordine, costretto a sopravvivere tra
escrementi e violenze, offeso nel pudore e nella dignità.
Io clandestino a Lampedusa è il titolo del servizio.
Con il nome di Bibal Ibrahim, egli descrive il supplizio degli interrogatori e dei riconoscimenti, con
gli immigrati che appena sbarcati vengono fatti sfilare nudi tra i carabinieri che li schiaffeggiano i
mussulmani obbligati dai militari a guardare fil pornografici, e per chi rifiuta, insulti e botte…
Non vi descrivo lo stato dei gabinetti per rispetto al luogo in cui ci troviamo, ma vi giuro che sono
tentato di farlo…
“Spogliati nudo” dice il carabiniere ad un ragazzo in canottiera che sta tremando per il freddo e la
paura. Lui non capisce. Resta immobile per un minuto intero.
What is the problem, urla il carabiniere e gli tira uno schiaffo sulla testa.
L’immigrato pallido e magro come uno scheletro, trema, Altro schiaffo. Tutte le persone in quel
momento nude davanti ai carabinieri vengono prese a schiaffi…”
Poco dopo lo stesso immigrato riceverà un pugno sul petto, e a fine serata, schedati gli ultimi sei
clandestini, i carabinieri festeggiano con una grigliata in cortile.
Fanno un banchetto, ma solo per pochi!
Scusate se vi dico queste cose, ma come possiamo, se non ci confrontiamo con la realtà capire
che
Anche questa Eucaristia, infatti, è un banchetto, al quale siamo per essere messi al corrente dei
progetti di Dio, per avere da Lui la forza di realizzarli, per avere il coraggioso di costure non inferni, ma
paradisi, già da questa vita. Se non avessimo questa tensione qui saremmo fuori posto.
Saremmo qui senza la veste nuziale, senza, cioè quell’atteggiamento di gioia per essere stati
invitati da Lui e di speranza per il futuro che in ogni momento della nostra vita dobbiamo costruire.
Noi siamo quelli che stamattina, hanno lasciato il loro campo e i loro affari (una dormita più lunga,
la casa da riordinare, la passeggiata con il cane o con gli amici, il footing, la gita al mare o ai monti…)
per accettare l’invito al banchetto.
Se la nostra messa, e, soprattutto la nostra vita, non manifesta la gioia di aver raccolto l’invito,
stiamo attenti: potremmo avere dimenticato l’abito nuziale.
Preghiamo insieme, ringraziando il Padre perché ci ha invitati, e soprattutto aiutandolo a realizzare
il suo regno.
Ecco perché dobbiamo sforzarci di rendere bello questo incontro: per rendere più bella la vita.
Un proposta….
Pensateci su…
Diteci la vostra idea…
Sarebbe anche questo un piccolo segno che ci farebbe uscire dal nostro individualismo per farci
entrare nel Regno di Dio.
Omelie