Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
16 Ottobre 2005 Nessun CommentoMiei cari fratelli
Siamo certamente contenti di avere risposto anche oggi all’invito di Dio, di esserci riuniti attorno a
questa mensa per condividere insieme le nostre gioie, le nostre preoccupazioni, le nostre fatiche, le
nostre speranze.
Non è sempre facile la strada del cristiano, ed è certamente incoraggiante trovare altri uomini, altre
donne che camminano con noi…
Prima di cominciare condividiamo anche la gioia del perdono, del perdono ricevuto da Dio e del
perdono donato…
LETTURE
Essere credenti vuol dire riconoscere al di sopra di ogni altra realtà, di ogni comando, di ogni autorità
umana, la signoria di Dio. Vuol dire non attribuire potere assoluto a persone o cose create.
Così appare Dio nel caso di Ciro, il re dei persiani, da Lui eletto per salvare il suo popolo.
Così è nel pensiero di Cristo, come emerge dal celebre brano di Matteo che fra poco ascolteremo, un
brano del quale sono state date molte letture e tante interpretazioni.
Noi vedremo insieme solo qualche sfaccettatura e scopriremo che riconoscere la signoria di Cristo
non è un gesto che si risolve nella interiorità della coscienza, ma è ricco di conseguenze pratiche e
concrete nella nostra vita.
OMELIA
E’giusto o sbagliato mettere il crocifisso nelle aule scolastiche o negli uffici pubblici?
Dobbiamo preferire, fra gli immigrati, quelli di religione cattolica e mandare li altri a casa, come dice il
card. Biffi, oppure no?
Siamo amareggiati perché i deputati europei non insericono, all’inizio della costituzione dell’Europa, le
radici cristiane ed essere contenti perché il presidente della regione siciliana lo ha fatto nel nostro
statuto regionale?
Fa bene o male Zapatero in Spagna a concedere la legalizzazione delle coppie di fatto o è sbagliato?
I concordati sono un atto positivo per la chiesa, le danno maggiore libertà, o la assoggettano ai politici
di turno?
Case di cura, scuole, enti cattolici è giusto che non paghino l’ICI, l’imposta comunale sugli immobili,
oppure no?
Insomma cosa vuol dire “separazione fra chiesa e stato”, cui sembra vogliano alludere le
parole di Cristo che abbiamo ascoltato?
Separazione fra chiesa e stato, vuol dire, in estrema sintesi, che lo stato è “laico” cioè che non può
imporre nessuna religione, nessuna fede perché la sua funzione è quello di regolare la convivenza di
tutti i cittadini, siano essi cattolici, o buddisti o mussulmani, o atei, e che la chiesa, deve poter,
liberamente, annunciare il vangelo di Cristo senza alcuna limitazione alla sua libertà, ma senza privilegi
e nel pieno rispetto della libertà di tutti.
Lo ha detto con parole chiarissime il Concilio Vaticano II, solo trent’anni fa. “La chiesa non pone la
sua speranza nei privilegi offertile dalla società civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi
diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità
della sua testimonianza.
Voi lo sapete: purtroppo non sempre è stato così.
Per gli ebrei, stato e religione coincidevano.
Nel medioevo la compenetrazione fra la chiesa e lo stato, diventava confusione fra il ruolo dell’uno e
dell’altra.
Papi e imperatori si deponevano a vicenda.
L’eretico veniva dichiarato tale dalla chiesa e bruciato dalla stato e così via dicendo…
C’era addirittura uno stato, quello pontificio, i cui ruderi esistono ancora oggi, dove il papa che ne era
anche re, firmava le condanne a morte.
Tutto ciò è durato, almeno in Italia, fino al 1861.
Da allora in poi, per amore o per forza, più per forza che per amore, la chiesa, ha dovuto riconoscere
come un valore la laicità dello stato, la separazione delle due sfere, ed ha dovuto farlo perché è
cambiata la società: siamo passati da una società in cui tutti dovevano pensarla alla stessa maniera e in
cui comandava uno solo, a una società “pluralista”, e democratica, in cui c’è libertà di pensiero e di
parola, e in cui, tutti possono scegliere da chi essere governati.
In ogni caso però è sempre un po’ difficile contraddittoria la posizione dei cristiano.
Noi cristiani, abbiamo i piedi su questa terra, ma la nostra patria e il cielo.
Testimoniamo con la vita i valori in cui crediamo e che regolano la nostra vita, ma possiamo questi
valori, imporli agli altri attraverso la legge dello stato?
Purtroppo oggi che in questo campo esiste una certa confusione.
Atei dichiarati cominciano a creder in Dio, mangiapreti sfegatati si dichiarano (non si capisce bene
come) “atei credenti”; parla così Oriana Fallaci seguita da Giuliano Ferrara, e da tanti altri politici che più
o meno disinteressatamente, fanno la corte ai valori cristiani…
Ma cosa c’entra tutto questo con il vangelo, – mi direte – con le letture di questa domenica?
Perché nel vangelo c’è una chiara indicazione.
“Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.
Ci sono le competenze di Cesare e le competenze di Dio. Bisogna far fronte alle esigenze di
entrambi, senza unificarle, senza confonderle, e, soprattutto senza strumentalizzare le un a a
favore delle altre.
La risposta di Cristo, come sempre, si proietta molto al di là, del contesto storico nel quale è
stata data.
Ecco perché c’entra.
Non solo perché sottolinea, come abbiamo fin qui detto, il rispetto che si deve a chi non la pensa
come noi, ma anche perché ci stimola a interessarci positivamente delle realtà terrestri che, come
dicevamo domenica scorsa altro non sono che la costruzione del futuro regno di Dio.
Il cristiano ha il dovere di partecipare alla vita pubblica e politica. Come ogni cittadino, degno
di questo nome, deve, informarsi adeguatamente, sapere come vanno le cose, esprimere a voce alta la
sua critica sulla incapacità o sulla disonesta dei governanti da lui eletti, criticarli, anche se li ha eletti,
anzi proprio perché li ha eletti, perché è da quelli che ha eletto, se li ha scelti per il bene comune, e non
per il suo intesse personale, che deve pretendere che rispettino gli impegni presi.
E’ un fatto: la gente che comunemente frequenta le chiese non ama interessarsi a questi problemi.
Qualcuno resta turbato se in chiesa si toccano certi argomenti.
“Padre, mi disse qualche tempo fa un anziano signore, bravissimo e distinto, che frequenta la messa,
quando lei parla fa troppa politica. Io vengo in chiesa per unirmi spiritualmente a Dio, per pregare, per
dimenticare i guai del mondo, per rigenerarmi spiritualmente…; a volte mi sembra invece di sentire il
telegiornale!
Forse dobbiamo intenderci sulla parola “politica”.
Non parliamo di quella politica che ci da la nausea in televisione.
Parliamo di quella politica spicciola, concreta, di ogni giorno che coniuga, la convivenza umana con la
fede nella Trinità che è il modello della condivisione e dell’amore reciproco.
Parliamo della politica della Incarnazione: perché se Cristo, Dio, si è fatto uomo, immergendosi nel
mondo, noi non possiamo fuggire il mondo per immergerci in Dio.
Anche i sacramenti, lo abbiamo detto altre volte sono scelte “politiche” nel senso più bello della
parola. Il battesimo mi rende fratello di tutti gli uomini. C’è scelta politica più rivoluzionaria di questa? La
comunione mi educa alla condivisione, che volete di più? E il matrimonio, cristianamente parlando, non
è l’impegno di una coppia che si apre al mondo?
Può essere addirittura una scelta politica andare in una chiesa piuttosto che in un’altra.
Perché io posso scegliere di essere lasciato nella mia beata incoscienza, o posso scegliere di essere
messo in crisi, di verificare ogni momento se la mia fede incide o no sul mondo che mi circonda.
Non è la politica dei partiti.
E’ un’altra cosa.
Anzi il cristiano per qualunque partito voti, dovrebbe essere voce critica anzitutto del suo partito, voce
critica davanti alla ingiustizia, voce di chi non ha voce, di chi non ha forza di parlare e di agire…
Questo non avviene spesso nelle nostre comunità, nelle chiese, nelle parrocchie.
Raramente si vede una parrocchia una comunità che sa analizzare la realtà, che sa individuare le
colpe o le omissioni degli amministratori, che alza la voce per intervenire, che mette paura a chi
governa, perché chi governa ha paura, ha paura di perdere il consenso e se tu fai luce sulle sue
magagne, almeno per paura si comporta meglio.
Anche questo come ogni impegno di fede, costa fatica.
Forse dobbiamo darci una smossa.
E può aiutarci in questo, una pagina di un antichissimo documento sulla laniera con cui i cristiani
vivevano duemila anni fa.
E’ la lettera a Diogneto, risale al II° secolo dopo Cristo.
Il contesto è diverso, ma quello che dice getta una bella luce sui problemi che il vangelo di oggi ci ha
spinto ad affrontare.
Ve la leggo.
I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti,
non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale.
Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel
vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente
paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto
sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. . Si sposano
come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono
nella carne, ma non vivono secondo la carne. . Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel
cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi.
A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le
parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani
abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani
si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile. L’anima ama la carne che la odia e le membra;
anche i cristiani amano coloro che li odiano. L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo;
anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L’anima immortale
abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono,
aspettando l’incorruttibilità nei cieli. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito
abbandonare.
Omelie