Vogliamo vedere Gesù
3 Aprile 2006 Nessun CommentoCon gioia celebriamo questa Eucaristia a due sole settimane dalla Pasqua.
Donare la vita: è la definizione di Cristo, dovrebbe essere la definizione di ogni cristiano. Un ideale davanti al quale
emergono visibilmente i limiti del nostro egoismo, della nostra tendenza a prendere piuttosto che a dare.
Di questo nostro limite, di questo peccato, particolarmente oggi, chiediamo perdono.
LETTURE
Il tema della alleanza che ci ha accompagnato per tutta questa quaresima raggiunge oggi il suo apice: dalla antica
alleanza dobbiamo passare alla nuova: Geremia la annunzia nella prima lettura, ne descrive le modalità: non più una legge
scritta su tavole di pietra, ma scolpita nel cuore dell’uomo: è il sangue di Cristo, il suo amore che vince la morte e ci dona lo
spirito che ci trasforma nell’intimo del cuore.
E’ un passo ulteriore che ci fa conoscere meglio Cristo e la nostra scelta di seguirlo.
Ascoltiamo!
OMELIA
Vogliamo vedere Gesù…
Dovrebbe essere il desiderio di ogni cristiano, di ognuno di noi: vederlo per conoscerlo, conoscerlo per credere in
Lui, credere per seguirlo.
“Se uno mi vuol seguire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche lui…”
Per conoscere Cristo bisogna seguirlo, seguirlo fini a dare la vita.
“Chi ama la sua vita la perde, chi odia la sua vita la salva, solo il chicco di grano che muore porta frutto…”
Non sono parole di un predicatore, di un moralista, di uno che può esprimere massime che non condivide, o
proporre strade di cui non ha esperienza.
Gesù parla in prima persona, parla di se stesso: egli è dinanzi alla sua morte.
Lo lambisce l’ammirazione di un mondo lontano: sono dei greci, lo vogliono vedere.
E’ un uomo famoso ormai, la gloria la notorietà lo sfiorano. Ed egli reagisce dicendo ai suoi: “E’ venuta l’ora della
mia gloria… ma è il momento della mia morte”.
Cristo non è l’uomo dei successi, colui che entusiasma le folle: anzi, quando l’entusiasmo lo tocca, fugge solo, dice il
vangelo.
Egli teme gli entusiasmi collettivi che rappresentano uno dei fenomeni più tipici del nostro tempo: l’alienazione
delle folle che proiettano in un personaggio le proprie esigenze frustrate e se ne tornano a casa, dopo averlo applaudito,
colme di consolazione.
Cristo rifugge da questa gloria, che è di questo mondo e del principe di questo mondo, ed indica come luogo di
appuntamento universale con gli uomini non il suo procedere nel mondo facendo miracoli, ma il suo essere crocifisso ed
ucciso.
E’ il baricentro della storia umana, l’alleanza nuova, il punto di incontro fra tutte le creature e il mistero di Dio.
Non so come quale effetto vi abbiano fatto quelle parole della lettera agli Ebrei: “Nei giorni della sua vita terrena
offrì preghiere e suppliche con forti grida e lagrime a Colui che poteva liberarlo dalla morte”.
Gesù ha terrore della morte. Come è possibile?
In quanto uomo, dice qualcuno, non come Dio.
Non mi soddisfa questa spiegazione.
Se Dio non c’entra niente con l’umanità di Cristo, con le sue gioie, con i suoi dolori, con il suo ridere e il suo
piangere, con il suo vivere e il suo morire; se in Cristo ci sono due facce: da un lato quella impassibile di Dio, dall’altra quella
sofferente dell’uomo, se Cristo soffre solo come uomo, non coinvolgendo nel suo dolore il Dio che è Lui, non ha valore
l’incarnazione, perde significato la rivelazione di Dio attraverso Gesù.
Gesù non è una marionetta.
Dentro di lui non c’è un Dio che guarda con tranquillità e noncuranza i dolori di un uomo, nella consapevolezza di
non esserne toccato.
Cristo ci rivela un Dio che ha preso una carne, ha preso una pelle, per sperimentare sulla sua carne, sulla sua pelle,
in tutto, fuorché nel peccato, la nostra condizione umana.
Se Gesù ha paura di morire, se rifiuta la morte, piange, grida, è Dio che ha paura della morte, che piange, che grida.
Gesù non va verso la morte come ci va un Dio sapendo che la morte non lo tocca.
Invece lo tocca perché capisce la morte più di noi; appunto per questo ne percepisce tutta la negatività, tutta
l’assurdità.
Noi abbiamo una certa affinità con la morte; ci abituiamo a vedere morire ed a morire più di quanto non sembri.
Soltanto chi conosce la vita e la possiede in sé ha ripugnanza per la morte che è il negativo assoluto.
“Pur essendo figlio, figlio di Dio, volle imparare dalle cose che patì”.
Un Dio che impara dall’uomo perché noi potessimo imparare da Lui.
Noi abbiamo relegato la sofferenza di Cristo alla raffigurazione devozionale della Via crucis, per commuoverci al
pensiero di quanto Gesù ha sofferto.
Molti preti sono stati entusiasti del film di Gibson, la Passione, che fra poco Rai Uno riproporrà alla audience
televisiva.
Ma non è questa la verità del Gesù che soffre; la vera sofferenza di Cristo consiste nel precipitare consapevolmente,
con la forza dell’amore, dentro le tenebre del negativo, per far lievitare dentro il negativo la luce dell’amore, cioè la vita.
Egli ha occupato le regioni in cui Satana stende il suo potere perché le ha conquistate con l’amore. Egli è entrato
nella morte con l’amore. E’ questo il mistero fondamentale di Gesù, ed è per questo che è stato liberato dalla morte.
Perché l’amore vince la morte. Non è una verità che vale per noi, o almeno che vale sempre per noi. E’ una
eccezione nella vita umana che l’amore vinca la morte.
Questa verità vale per Dio.
Con Gesù Dio che entra nella morte. Ecco perché la vince, ecco perché risorge. La risurrezione appare come l’esito
finale di questa sconfitta della morte, di questa sconfitta che la morte ha ricevuto, in virtù del suo amore per tutti gli uomini,
perché non c’è forza che possa vincere l’infinito negativo della vita se non l’amore infinito di Dio.
Anche noi allora , se vogliamo amare veramente la vita , perché a questo siamo chiamati, dobbiamo accogliere dentro di noi, senza rifiuti, lo spessore immenso delle tenebre in cui siamo inseriti.
L’amore della vita non deve basarsi su una menzogna.
Il vero modo di sconfiggere la morte non è di fuggire ma di affrontarla nell’amore; il vero modo di sconfiggere il
male che corrode l’umanità non è di metterlo ai margini, ma di metterlo al centro. Dobbiamo costruire una città – è un’utopia,
ma l’utopia diventa regola di ogni comportamento morale e politico – una città in cui i deboli siano al centro, in cui i lebbrosi
non siano costretti a star fuori dall’accampamento, ma davanti alla attenzione di tutti.
E se noi vogliamo dare un senso allo spettacolo che tante volte ci affanna: al pensiero di tutte le morti inutili, da
quella del piccolo Tommaso a quella di tanti bmbini che muoiono senza che nessuno se ne accorga, al pensiero di tutti coloro
che vivono nella menomazione permanente, delle persone legate ad un letto di dolore fin dalla nascita, di tutti coloro che le
guerre sterminano a centinaia di migliaia, degli otto milioni uccisi nei campi di concentramento, se vogliamo dare un senso a
questa vita sperperata senza spiegazioni, a questo negatività immensa ed anonima, di cui non parlano i nostri libri di storia
e di cui noi non abbiamo se non una piccola coscienza, se vogliamo dare un senso a tutto questo, non dobbiamo più pensare
che solo coloro che hanno conosciuto Gesù Cristo sono salvi.
L’essere in Cristo non è un fatto di adesione soggettiva, ma di appartenenza oggettiva.
Tutti coloro che entrano nel non senso, tutti coloro che non hanno nella vita la risposta ai loro desideri, alle loro
attese, abitano in questa presenza che Dio ha posto nella carne del mondo: la presenza del crocifisso.
Chi soffre, chi muore inutilmente, gratuitamente chi è schiacciato dalla prepotenza è già, per noi, dentro il mistero
dell’amore di Dio.
Il problema moralistico dei meriti, del guadagno del paradiso lo abbiamo inventato noi.
Nella oggettiva volontà di Dio tutte le immense folle che sono entrate nella morte e nella distruzione senza
consolazione sono dentro quest’ombra dove abita il fermento dell’amore onnipotente di Dio.
Dietro la parete di tenebra non c’è il vuoto, c’è “Qualcuno”, e chi entra nelle tenebre per la malizia del mondo, per le
prepotenze del mondo o per deficienza della natura, entra nell’amore di Dio.
La morte ha tentato di lambire Dio.
Cristo morendo ha distrutto la morte.
E’ il senso del cristianesimo, della risurrezione, della Pasqua che viviamo ogni giorno e che, fra poco ci accingiamo
a celebrare.
Perché Cristo ci aiuti a capire e a fare, preghiamo!
Omelie