In nessun altro c’è salvezza

7 Maggio 2006 Nessun Commento     

Ogni volta che ci ritroviamo insieme noi celebriamo la presenza di Dio nella nostra vita: nei momenti di

gioia e di dolore, di riposo e di fatica, di colpa e di perdono, di chiusura o di amore verso i nostri fratelli.

Facciamo “Eucaristia”, ringraziamo cioè Dio, perché da Lui siamo stati salvati, e perché, per mezzo di Lui,

riusciamo a salvare.

Esprimiamo la gioia di essere qui insieme col canto del “Gloria”.

E’” facile cantare insieme, almeno questo canto, botta e risposta… frasi brevi.

Lasciamoci coinvolgere, anche questo è un segno che abbiamo qualcosa in comune.

PREGHIAMO

O Dio, creatore e Padre, che fai risplendere in mezzo a noi la gloria di Cristo risorto, raduna gli uomini

dispersi nell’unità di una sola famiglia, perché, affidando la loro vita a Cristo, buon pastore, gustiamo la gioia

di essere tuoi figli.

LETTURE

Non perdono nessuna occasione gli apostoli per esprimere la loro fede in Cristo.

Nella prima lettura è Pietro che parla, si rivolge agli Ebrei che avevano rifiutato Cristo, affermando con

forza che “in nessuna altro c’è salvezza.

Su questa espressione fermeremo particolarmente oggi la nostra attenzione, chiedendoci cosa vuol dire e

quali conseguenze concrete produce nella nostra vita, sia per ciò che facciamo in chiesa, sia per ciò che

facciamo fuori dalla chiesa.

Gli altri due brani fanno da contesto. Ma il loro ascolto potrà servirci per capire meglio queste parole di

Pietro.

OMELIA

“Voi avete scartato Cristo – dice Pietro agli Ebrei – lo avete messo da parte. Per essere fedeli alla vostra

religione, alla vostra legge, alle vostre pratiche, ai vostri riti, non lo avete accettato.

Ma solo nel suo nome possiamo essere salvati.

“In nessun altro c’è salvezza”.

Ci sono due maniere di capire, di intendere, di interpretare queste parole.

La prima, in voga fino a qualche tempo fa nella chiesa, e ancora oggi non del tutto abbandonata, secondo

la quale solo i cristiani, anzi solo i cattolici si salvano; e che gli altri, tutti gli altri, non solo gli atei, ma i seguaci

di altre religioni, diverse dalla nostra sono… perduti!

Questo punto di vista ha trasformato l’espressione “In nessun altro c’è salvezza” in un’altra, più precisa,

più esclusiva, più rassicurante, ma anche più pericolosa: “Fuori della chiesa non c’è salvezza”. “Extra

Ecclesiam nulla salus”.

In latino suona meglio!

Ed allora è stato ritenuto necessario far di tutto perché la gente ci entri in questa chiesa, per amore o per

forza.

Ed allora è necessario battezzare i bambini fin dalla nascita, far fare ad ogni costo la prima comunione

che spesso diventa anche l’ultima, costringere la gente a sposarsi in chiesa, anche se non hanno, o non

vogliono avere la minima idea, di ciò che significa questo gesto; dire ogni tanto preghiere e compiere

determinati riti per essere graditi a Dio…

E fin qui nulla di molto grave.

Il guaio è che questa mentalità: Dentro tutti i buoni che si salvano e fuori tutti i cattivi che si perdono, ha

giustificato crociate contro gli infedeli sbudellati in nome di Dio, guerre di religione, intolleranze, inquisizioni

più o meno sante, il contarsi: Siamo tanti, siamo forti, vinceremo… ha giustificato che solo dentro la chiesa

c’è salvezza, c’è Dio, santità, ma tutto quello che è fuori va male. Tutto il bene da una parte, tutto il male

dall’altra parte.

Ma le parole di Pietro, per fortuna, possono essere lette in chiave diversa.

“In nessun altro c’è salvezza”, o, come abbiamo letto nel Vangelo, “Io sono la porta, solo chi entra

attraverso di me sarà salvo”, significa che la salvezza passa solo attraverso Cristo.

Cioè: per salvarsi e per salvare, bisogna ripetere la sua esperienza, bisogna far propri i suoi

atteggiamenti, fino al dono della propria vita.

Nel senso che la salvezza, in tutti i sensi, dal gusto autentico della vita in questa terra, alla gioia eterna

nell’altra, non passa attraverso pratiche, riti osservanze religiose, fatte in un modo o in un altro, ma dal

rapporto, dall’atteggiamento di chiusura o di apertura, di interessamento o di indifferenza, di amore o di odio,

di partecipazione o di menefreghismo che io ho verso il fratello che mi sta vicino, verso la realtà che mi

circonda, verso i problemi che riguardano non solo me o il mio quieto vivere, ma tutta l’umanità…

Vuol dire che io mi salvo e salvo solo se faccio miei gli atteggiamenti dell’uomo Cristo.

Vuol dire che Cristo è la strada che ogni uomo deve percorrere, la porta attraverso la quale deve

passare chiunque voglia realizzare pienamente la sua umanità.

Voi capite che allora non basta predicare: “Cristo ti salva”.

Voi capite che non è sufficiente incollare al parabrezza della macchina l’adesivo con su scritto: “Cristo è

presente”.

Perché la presenza di Cristo non si dice, si fa.

Ciò che Cristo chiede non è far chinare il capo per estorcere un atto di fede, ma metterci accanto al

fratello per dimostrargli che Dio lo ama.

Leggevo ieri un’intervista fatta a Madre Teresa di Calcutta.

“Chissà quanta gente persone hai mandato in Paradiso, battezzandole all’ultimo momento”, gli ha

chiesto un giornalista.

E lei: “Io non ho mai battezzato nessuno”.

Perché, al di là dell’acqua che scorre sulla testa, che cosa vuol dire “battezzare” se non immergere

nell’amore di Dio?

E chi è più immerso nell’amore di Dio, più “salvato” di un ammalato, povero, miserabile, abbandonato, che

trova una mano amica che si china su di lui?

Teresa di Calcutta ha capito Gesù Cristo.

Questo Cristo che destabilizza, contesta, mette in crisi, non solo la religione ebraica, ma tutte le religioni, i

musulmani, i buddisti, gli indù, i protestanti, i cristiani in genere, ed anche, e soprattutto, i cattolici.

Perché ci fa capire che Dio con le varie religioni non c’entra proprio nulla. La maggiore o minore vicinanza

con Dio, infatti, non dipende dal “credo” che diciamo, ma dall’essere più o meno vicini al luogo più autentico,

più vero, più concreto, del sacro, dell’incontro con Dio, che non è il tempio, ma l’uomo che mi sta accanto.

Le divisione fra i cristiani… Sono certamente una controtestimonianza, uno scandalo, anche perché,

spesso, si sono consumate non attorno alle cose serie, ma sulle sciocchezze.

Ma io penso che a Dio, Padre di tutti gli uomini, stia molto più a cuore l’unità vera del genere umano, che il

gregge di cui parla il vangelo sia tutta l’umanità, un mondo cioè, unito e pacificato, e non insanguinato,

piuttosto che una massa uomini che, estranei gli uni agli altri, celebrano, nella stessa lingua, i medesimi riti.

“Fuori della chiesa non v’è salvezza…”

Anche questa espressione può, deve diventare vera, se per chiesa non intendiamo un istituzione, regolata

da norme ben determinate, nella quale si entra a determinate condizioni…, ma tutte quelle persone, donne e

uomini capaci di condividere, progettare insieme il Regno di Dio, la salvezza dei propri fratelli, perché fuori

dalla chiesa, cioè fuori dalla comunione, dalla condivisione, dal progetto del regno di Dio non v’è salvezza.

E i sacramenti, mi direte? E i riti?

I sacramenti, se sono solo “riti”, non servono a nulla.

Peggio ancora se sono pensati come riti magici accompagnati da strani gesti e arcane parole

I sacramenti, all’interno di una comunità cristiana, solo segni di salvezza, perché esprimono un cammino

di maturazione, di crescita degli atteggiamenti di Cristo dentro di noi…

Così il matrimonio, che ti aiuta a vedere chi ti sta accanto, come una donna o un uomo da salvare, per cui

“dare la vita”, e che impegna, insieme, un uomo e una donna, per la salvezza degli altri.

Così la cresima che è il proposito adulto di mostrare la salvezza di Cristo, davanti al mondo.

Un sacramento tanto necessario oggi, un tempo nel quale ognuno di noi tende a farsi i fatti propri, a

deresponsabilizzarsi, a rassegnarsi. A parte le cresime dei bambini, vorrei vedere quante cresime di adulti

oggi sono fatte con questa consapevolezza…

Così il battesimo che è la nuova nascita, la rottura della placenta, della membrana della famiglia naturale

per farti abbracciare chiunque come un fratello…

Così questa eucaristia che dovrebbe produrre in noi quella lenta maturazione alla condivisione, al mettere

insieme le nostre cose la nostra vita…

Continuiamola a celebrare questa messa con questi sentimenti, accogliendo così, nel nostro cuore e nella

nostra vita la salvezza di Dio.

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