Fratelli, siate lieti!
17 Dicembre 2006 Nessun CommentoIn mezzo a voi c’è uno che non conoscete
Gloria!
Questo canto con il quale abbiamo iniziato oggi la nostra celebrazione, un canto risuonato per la prima volta sulla grotta di
Betlemme, da alla nostra assemblea quel clima di gioia cristiana nella quale dovrebbe essere immersa non solo ogni messa, ogni
banchetto di fraternità nel quale è presente Cristo, ma tutta la nostra vita.
Si spezza un po’ oggi il clima austero dell’avvento e si canta il Gloria in questa terza domenica d’avvento che prende il
nome dalla prima parola della epistola di Paolo che leggeremo fra poco: Gaudente”-
Rallegratevi nel Signore, vi raccomando; state lieti!
Ed i motivi della nostra gioia possiamo trovarli subito in ciò che stiamo facendo: ci ritroviamo insieme, riusciamo a superare
la nostra freddezza, ciò che ci divide, l’estraneità.
Abbiamo fratelli e sorelle da prendere per mano, un Padre che ci accoglie fra le sue braccia…
Preghiamo…
LETTURE
Isaia accetta di essere profeta, di essere mandato da Dio per portare la salvezza e la gioia ai poveri ed agli oppressi.
Sono le stesse parole che Cristo farà sue a Nazareth, nella sinagoga, all’inizio della sua missione.
E’sono il contenuto del “vangelo”; quel lieto annunzio, che, come dice Paolo, dovrebbe trasformare la nostra vita e riempire
di gioia il mondo.
Ascoltiamo!
OMELIA
Ci prepariamo al natale.
Il natale è festa.
Ogni festa è gioia.
Il Natale lo è ancora di più!
Non c’è bisogno di sottolineare questa dimensione a natale, tanto essa è spontanea, fluida, naturale…
E’ normale almeno per un giorno, dimenticare i guai, fare un bel cenone, concluso magari da una bella messa, condito pure
da una generosa elemosina, per dare un po’ di gioia a chi sta peggio di noi…
Sono cose da non disprezzare, perché possono essere il segno di qualcosa di molto più bello e molto più grande.
Il segno di quella gioia di cui parla Isaia, di quella a cui ci invita Paolo, di quella gioia del “vangelo”, che, come dice la
stessa parola è la notizia lieta, il lieto annunzio per eccellenza.
Certo, ci sono tanti modi per essere contenti…
Si può essere contenti perché tutto va bene, a gonfie vele: la famiglia, l’amore, la salute, la carriera, i soldi, gli amici…
Ed molto bello, auguriamocelo, anche se essere contenti solo per queste cose è pericoloso, ed anche raro, perché sono tanti
gli elementi, messi in gioco, sono tante le variabili dipendenti, che basta anche una sola di queste cose che non funziona per
mandare tutto all’aria…
Si può essere contenti anche quando qualcosa va male. Basta piangere con un occhio solo. Essere ottimisti e guardare solo il
lato buono delle cose…
Mi sono rotta una gamba, ma il mio vicino se le è rotte tutte e due. Piango con un occhio solo…
C’è un terzo modo di essere contenti.
E ssere contenti perché si è cristiani.
Ma, che cosa è la gioia cristiana?
Su quali motivazioni si fonda?
Noi, come cristiani, abbiamo l’esperienza della gioia?
Non diamo a volte un’impressione diversa?
E come è possibile, soprattutto, coniugare la gioia con la vigilanza, l’attenzione, la presa di coscienza dei mali del
mondo?
Come è possibile, proprio in quanto cristiani, essere contenti, se essere cristiani significa non rinchiudersi all’interno
dei propri problemi o delle proprie soddisfazioni, ma aprirsi alle dimensioni spesso terribili, della realtà che ci
circonda?
Sono queste le domande che ppossiamo porci davanti alla Parola di Dio che oggi ci invita allal gioia.
Io tenterò, molto brevemente di descrivere questa esperienza alla luce della Parola che abbiamo ascoltata, nella speranza che
essa trovi posto nella mia e nella vostra vita.
Ed anzitutto noi cristiani non siamo deficienti, né gli scemi del villaggio, né degli alienati che si rifugiano nei sogni del
futuro sfuggendo le difficoltà del presente.
Noi siamo immersi nel mondo, nella realtà della vita, alla base della quale però, ed ecco il punto, noi abbiamo messo Dio, il
Dio di Cristo, il Dio del Vangelo, il Dio che è presente nella storia di ognuno e nella storia di tutti, il Dio che mi chiama
personalmente a collaborare con Lui, a proclamare la libertà degli schiavi, la liberazione dei prigionieri, il Dio che depone i
potenti e esalta gli umili, il Dio che ricolma di beni gli affamati e manda a mani vuote i ricchi…, quel Dio che farà germogliare
la giustizia davanti a tutti i popoli, che pareggerà del tutto i conti alla fine, ma che è qui, accanto a me, fin d’adesso per
cominciare questo pareggio.
Il Dio della pace, che ci ha chiamati ed è fedele, e farà tutto questo, ha urlato Paolo.
Se credo tutto questo, se vivo in questa dimensione, se queste premesse danno senso, significato alla mia esistenza, sono
certamente, come ogni essere umano, esposto alla sofferenza, alla delusione, allo scoraggiamento, mai però alla disperazione,
perché la mia mano rimane sempre attaccata a quella di Dio.
Su questa esperienza è fondata la nostra gioia.
Una esperienza, per molti versi simile alla esperienza umana dell’amore…
Chi ha la fortuna, nella sua vita, di avere qualcuno su cui contare veramente in mezzo alle difficoltà, anche se le cose vanno
male può dire: “Ci sei tu, non posso disperare…”
Se non abbiamo fatto l’esperienza dell’amore, della compagnia, di Dio come fondamento nella nostra vita, non abbiamo
provato, né possiamo provare l’esperienza della gioia, della roccia sulla quale è fondata la nostra casa. Soffiarono i venti, dice
Cristo, strariparono i fiumi, ma la casa rimase salda.
Attenzione: non è che manchino le tempeste e le difficoltà. La gioia cristiana non nasce dall’assenza di difficoltà, ma
dalla certezza che nessuna difficoltà la vincerà nei confronti della fedeltà di Dio. E tutto questo sia per ciò che riguarda i guai
personali, sia per ciò che riguarda i guai del mondo.
Pensate a Cristo le cui parole spesso sono un invito alla gioia.
“Vi dico queste cose, annunziava ai discepoli, per ché la vostra gioia sia piena”.
E’ Dio, è sceso in questo mondo, ha cambiato tante cose in quei pochi anni della sua vita, ma il mondo non è cambiato; ha
annunziato il vangelo ai poveri, ma i poveri sono rimasti; anzi ebbe a dire una volta. “I poveri li avrete con voi fino alla fine del
mondo”. Ha perdonato la prostituta, ma non è sparita la prostituzione, lo sfruttamento l’oppressione delle donne; ha predicato la
pace, ma non è finita la guerra; ha proclamato “beati” gli assetati di giustizia, ma non è terminata l’ingiustizia…
Ha fatto quello che ha potuto fino a morire, la sua morte non hanno improvvisamente e magicamente cambiato il mondo, ma
ha instaurato un altro modo di essere nel mondo: ha dato la speranza a quanti vogliono continuare a fare quello che lui ha
iniziato, che Dio darà loro una mano e che il suo progetto, pur attraverso dolori e fatiche si realizzerà…
Per questo la gioia, la gioia che viene da Dio è un dono, ma è anche un compito.
Questa gioia è il dono della fede nella presenza di Dio nella storia, questa gioia si nutre della speranza che Dio, anche
attraverso i miei piccoli gesti, realizzerà i suoi progetti, questa gioia è un compito e si realizza nella carità…; e, come l’amore,
“non la trovi per terra come un sasso, ma la devi fare come il pane, e rifarla continuamente e poi rifarla di nuovo.
E se questa gioia c’è, si manifesta.
Si manifesta nella vita attraverso quel ottimismo di fondo che dovrebbe caratterizzare gli atteggiamenti del cristiano.
Si manifesta nella assemblea cristiana, nella “Eucaristia” che significa “ringraziamento gioioso”. Se una messa è triste,
noiosa, barbosa, che ci lascia più scoraggiati di quando siamo venuti, c’è qualcosa che non funziona, è meglio evitarla…
Si manifesta persino nel momento della morte se è il sottofondo ineliminabile sul quale possono passare tutte le tempeste
della vita; nella morte che è il momento supremo della realizzazione delle promesse di Dio.
Si manifesta nel canto.
Un’assemblea cristiana che non canta con entusiasmo probabilmente non crede molto alla gioia.
Esaminarsi sulla gioia, sulla gioia vera, sulla gioia cristiana, vuol dire scendere nelle motivazioni più profonde della propria
esistenza, scoprire ciò su cui abbiamo poggiato le fondamenta, accertare i significati più seri della nostra vita.
Esaminare se stessi sulla gioia è forse il test più inquietante per scoprire la nostra maturità umana e la maturità della nostra
fede.
La gioia del Vangelo non nasce da ciò che faccio, ma dalla consapevolezza che ciò che faccio lo faccio insieme a Lui.
La gioia del Vangelo nasce dalla certezza che, se pure nel breve arco della mia vita non vedo risultati, il mio sforzo non
andrà perduto.
In una grande vallata vivevano tanti uomini stanchi ed oppressi da un duro lavoro: portavano enormi pietre sulle
spalle.
Ma, mentre alcuni fra loro piangevano e si disperavano, altri, nonostante la fatica, sembravano contenti.
Mi avvicinai ad uno che piangeva, piegato in due sotto il peso immane: “Che fai? – gli chiesi. “Non lo vedi?
Trasporto pietre” –sono pesanti mi rispose, non ce la faccio più!
Mi accostai ad una altro, che pur curvo sotto il peso, sembrava non sentisse lo sforzo e sorrideva. “E tu, che fai?”
Trasporto pietre, sono pesanti, disse, ma alzando gli occhi verso la montagna che aveva di fronte sulla cui cima stava
sorgendo un edificio mi disse: “Io costruisco una cattedrale”.
Le conseguenze tiratele voi!
Omelie