Ecco io vengo per fare la tua volontà

24 Dicembre 2006 Nessun Commento     

Accogliamoci con gioia e fraternità, in questa ultima domenica, la più vicina al Natale del Signore.

E preghiamo insieme perché questa celebrazione di oggi ci prepari alla festa di domani.

O Padre, che hai scelto Maria per dare un corpo al tuo Figlio, dona anche a noi il dono di diventare il Corpo di Cristo, per fare la

tua volontà.

LETTURE

L’attesa, la speranza e la gioia.

Queste tre parole hanno guidato quest’anno il nostro cammino verso il Natale.

Se ne aggiunge oggi una quarta: la disponibilità, la capacità di mettere la nostra vita disposizione di Dio per ché Egli possa

realizzare le sue promesse, il suo piano di salvezza per il mondo.

Se Cristo e Maria, come dice il profeta Michea, sono le promesse di Dio, la lettera agli Ebrei e il Vangelo ci parlano della

realizzazione di questa profezia.

Vediamo.

OMELIA

Siamo ormai alla vigilia di Natale.

Ed allora sfruttiamo bene questa occasione, per riflettere sul valore del Natale di Cristo, per coglierne l’essenziale, lo specifico che è

poi lo specifico della nostra stessa fede.

Una “specificità” che dobbiamo sottolineare.

Perché il rispetto per tutte le religioni è certamente una bella cosa.

Ma non può farci relativizzare tutto, fino a perdere il significato della fede che noi professiamo.

Tutte le religioni sono uguali? L’una vale l’altra? Gira e rigira, dicono tutte la stessa cosa?

In questa opinione attorno alla quale si può discutere, c’è un nocciolo di verità, specialmente quando la religiosità si appiattisce,

quando riguarda solo la superficie della vita senza riuscire a penetrare e trasformare il nocciolo, la sostanza, il nucleo della nostra

esistenza.

Come quando qualcuno dice: “Tutte le donne sono uguali, o una donna dice: “Tutti gli uomini sono uguali”. Ma poi, se si incontri

qualcuno che sconvolge la tua vita, ti innamori veramente, e cambi idea…

I brani biblici di oggi, tutti e tre, ma particolarmente la lettera agli Ebrei e il brano del Vangelo, sembrano scelti proprio per

mettere fuori gioco quell’elemento che accomuna sullo stesso piano tutte le religioni: il culto a Dio.

Ordinariamente si pensa che la religiosità consista nel dire determinate preghiere, nell’osservare precise norme morali, ne

partecipare a determinati riti.

Anche le statistiche che ogni tanto spuntano sui media, misurano la religiosità dalle messe ascoltate, dalle preghiere recitate, dai

crocifissi esposti, dai pellegrinaggi organizzati, dai riti celebrati, dai presepi venduti…

Se poi il rito ha qualcosa di misterioso, di magico, di ripetitivo…, capace di farci entrare in una atmosfera sacrale, mistica,

rasserenante, con candele accese, profumi d’incenso, e formule strane, che ci mettono in contatto con la divinità, e assicurano guarigioni

miracolose con annesso esorcismo del diavolo, raggiungiamo il top…

Sembra invece che Cristo abbia avuto con Dio, un rapporto diverso, sembra che abbia del “culto” un’idea del tutto differente.

Non ci risulta che, nel corso della sua vita abbia costretto o solo invitato i suoi discepoli a seguire lunghe, solenni e complicate

liturgie.

Ha solo detto, (lo abbiamo ascoltato poco fa) entrando nel mondo: “Tu, Padre non hai voluto né gradito preghiere, offerte,

olocausti, sacrifici…”

Un corpo mi hai dato. Allora ho capito ed ho detto: “Ecco, io vengo per fare la tua volontà”.

Il Dio di Cristo, che spero sia anche il nostro Dio, non sta ad annusare il profumo dei sacrifici, né si crogiola ad ammirare le

complicate coreografie che i suoi ministri sciorinano attorno agli altari. Non si sente gratificato da queste cose.

Il Dio di Cristo ritiene culto, onore reso a Lui il fare semplicemente la sua volontà”.

Semplicemente?

Non scherziamo.

Non è per nulla semplice fare la volontà di Dio.

E’ così difficile che noi per semplificarla, ne abbiamo stravolto il significato.

L’abbiamo interpretata come rassegnazione inerte, confondendo il Dio cristiano con il fato o con il destino.

“E sia fatta la volontà di Dio”, diciamo quando dobbiamo rassegnarci davanti ai mali inevitabili della vita.

Oppure la abbiamo ridotta all’obbedienza supina agli ordini che vengono dall’alto molto spesso contrabbandati per volontà di

Dio!

O ci siamo lambiccati il cervello per scoprire il progetto di Dio su di noi…

Cosa vuole Dio che io faccia? Che faccia il prete o che mi sposi?

Che vado alla lavorare o all’università?

Che faccia le vacanze al mare oppure in montagna?

Capisco che a volte ci troviamo in situazioni difficili, dalle quali cerchiamo di uscire con qualche consiglio qualificato.

Ma a Dio, credo, non interessa tanto che io scelga questo o quello stato di vita, questo o quel mestiere, questa o quella attività.

Dio vuole che, qualunque cosa io scelga, in qualunque situazione io mi trovi, dettata dalle circostanze o dalla mia scelta, io sia

disponibile a fare ciò che Lui vuole.

E Dio vuole l’accoglienza del povero, della vedova, dell’orfano e dello straniero, il perdono degli amici e dei nemici, la gioia

anche in mezzo alle avversità, la giustizia, la solidarietà e la pace.

Per realizzare questa volontà Cristo ha avuto bisogno di un corpo, perché la volontà di Dio non si realizza nella evanescenza

delle estasi mistiche, ma nello spessore della nostra pesantezza quotidiana, attraverso la nostra corporeità, nell’unico modo che abbiamo

per essere fisicamente prossimi, vicini, agli altri…

Maria, dice il vangelo di oggi ha avuto da Dio il dono di capirlo per prima.

Per questo non appare una creatura beata in se stessa, isolata nella sua intimità divina, bensì un essere corporeo, fatta di

concretezza, di sensibilità, di disponibilità.

Aprirci all’accoglienza verso l’altro: ecco lo specifico della nostra fede, ecco la ragion d’essere della nostra personale scelta

cristiana e la ragion d’essere di una comunità cristiana, di una parrocchia; non quella di raccogliere gente per celebrare riti, lo scopo di

una è trasformare un aggregato di persone in un organismo, un miscuglio in un composto, un mucchio di pietre in una casa, nel tempio di

Dio che gli renda il culto della vita.

Accogliere tutti, sani e malati, vivi e morti.

Accogliere anche chi nella vita è dovuto andare avanti con un corpo malato, inutilizzabile, tenuto in vita attraverso le macchine;

un corpo che solo cinquant’anni fa, senza le macchine che abbiamo adesso, sarebbe naturalmente morto.

Penso alla accoglienza che Dio avrà riservato a Giorgio Welby, penso alla preghiera che Fabrizio De André scrisse in occasione

del suicidio di Luigi Tenco,

PREGHIERA IN GENNAIO

Lascia che sia fiorito

Signore, il suo sentiero

quando a te la sua anima

e al mondo la sua pelle

dovrà riconsegnare

quando verrà al tuo cielo

là dove in pieno giorno

risplendono le stelle.

Quando attraverserà

l’ultimo vecchio ponte

ai suicidi dirà

baciandoli alla fronte

venite in Paradiso

là dove vado anch’io

perché non c’è l’inferno

nel mondo del buon Dio.

Fate che giunga a Voi

con le sue ossa stanche

seguito da migliaia

di quelle facce bianche

fate che a voi ritorni

fra i morti per oltraggio

che al cielo ed alla terra

mostrarono il coraggio.

Signori benpensanti

spero non vi dispiaccia

se in cielo, in mezzo ai

Santi

Dio, fra le sue braccia

soffocherà il singhiozzo

di quelle labbra smorte

che all’odio e all’ignoranza

preferirono la morte.

Dio di misericordia

il tuo bel Paradiso

lo hai fatto soprattutto

per chi non ha sorriso

per quelli che han vissuto

con la coscienza pura

l’inferno esiste solo

per chi ne ha paura.

Meglio di lui nessuno

mai ti potrà indicare

gli errori di noi tutti

che puoi e vuoi salvare.

Ascolta la sua voce

che ormai canta nel vento

Dio di misericordia

vedrai, sarai contento.

Dio di misericordia

vedrai, sarai

contento.

rivestendo le parole di una toccante melodia, penso alla non accoglienza messa in atto dai preti della sua parrocchia, della sua

comunità cristiana, non accoglienza a lui, a sua moglie, alla sua famiglia, una non accoglienza resa più pesante dal fatto che oggi noi

preti diamo i sacramenti a chiunque anche a chi sappiamo che non crede in Dio…

Probabilmente io, (e credo anche i miei colleghi Padre Alfio e Padre Giovanni), insieme a molte altre persone di questa

comunità, avremmo celebrato la messa per quest’uomo, perché celebrare una messa quando qualcuno muore vuol dire credere che non

la morte ma Dio è colui che può dire l’ultima parola sulla vita, ma l’avremmo fatto lasciando la politica fuori dalla porta…

Nessuna accoglienza vale nella vita, senza l’accoglienza nell’ora della morte.

Chiediamola al Padre questa disponibilità, una disponibilità che insieme all’attesa, alla speranza, e alla gioia, i quattro

atteggiamenti che insieme abbiamo scoperto in questo cammino di avvento, ci aiuteranno a celebrare, in maniera autentica in ogni giorno

della nostra vita, il Natale di Cristo.

O è Natale tutti i giorni o non è Natale mai, mi pare dica il ritornello di una canzone.

Perché anche per noi sia così, preghiamo.

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