Stese la mano e lo toccò
12 Febbraio 2006 Nessun CommentoL’accoglienza reciproca, la gioia di stare insieme, di condividere l’impegno e la gioia
della fede, se ci conosciamo, ma soprattutto se non ci conosciamo è segno che siamo
discepoli di Cristo.
Che è disposto a perdonarci per allargare il nostro cuore sulle dimensioni del cuore di
Dio.
LETTURE
La lebbra era per gli ebrei il concentrato delle maledizioni divine. Forse ripugna alla
nostra sensibilità questa decisa emarginazione che emerge dalla prima lettura, ma
potremmo chiederci se siamo disposti a condividere ed imitare l’atteggiamento di Cristo
verso gli emarginati.
Vediamo!
OMELIA
Ricorderete, qualche anno fa, la polemica, garbata ma decisa, fra il Vaticano da una
parte e l’amministrazione comunale della città eterna dall’altra quando si trattò del day
pride, il raduno degli omosessuali che si tenne poi a Roma nel giugno del 2000.
L’anno santo, diceva giustamente il Vaticano è una occasione sacra; non va
profanata da manifestazioni di segno completamente opposto. Se proprio la volete fare
questa manifestazione fatela altrove, ci sono tante altre belle città in Italia.
“Roma è di tutti”, rispose allora il governo italiano messo un po’ a disagio, per bocca
dell’allora ministro Dini, non possiamo fare discriminazioni.
Non è facile, certo, valutare questi problemi.
Anche solo il parlarne ci disturba.
Da una parte la sacralità della città eterna, la difesa della pubblica moralità, la
dignità della chiesa cattolica, dall’altra parte l’atteggiamento a volte provocatorio e
dissacrante di certe manifestazioni ci porterebbero a gridare allo scandalo, ad emarginare,
ad allontanare dalle persone cosiddette “normali”, gli altri, i cosiddetti “diversi…”
Eppure l’emarginazione è una realtà del nostro tempo.
Il diverso, il povero, , il vecchietto da mettere all’ospizio, il malato di mente che gira
per le strade, l’immigrato, l’extracomunitario, lo zingaro, il carcerato che scontata la pena,
vorrebbe inserirsi nella società, il drogato l’omosessuale …, persino il timido, che non sa
inserirsi in un gruppo…ochi non è sposato. I single spesso non li invita nessuno. In un
mondo di accoppiati si sentono a disagio…
Il “diverso” mette in crisi. Meglio metterlo da parte. Si sta in pace.
Forse a questo proposito il vangelo di oggi ha qualcosa da dirci.
Cristo non evita di incontrare l’indemoniato e il pubblicano, il paralitico e l’adultera,
la prostituta e il lebbroso.
Il lebbroso poi per gli ebrei, era, l’escluso per eccellenza, il concentrato di tutte le
maledizioni divine.
La lebbra era il castigo divino per i suoi peccati; era maledetto da Dio, cattivo,
posseduto dal demonio; la religione non solo lo emarginava, ma lo convinceva di essere
impuro, di essere immondo.
Doveva gridarlo, a distanza, di essere lebbroso; si vestiva di stracci, suonava un
campanaccio per impedire che qualcuno si avvicinasse a lui e inavvertitamente lo toccasse.
La legge lo proibiva; si diventava impuri.
Cristo “stese la mano, e lo toccò.
Non è solo un miracolo, è qualcosa di più! E’ la reintegrazione in quella società che lo
aveva escluso. (mosso a compassione o mosso dall’ira?)
Gesù ha fatto questo, perché Lui per primo, portava sulla sua pelle il marchio della
emarginazione.
Nato fuori della città, vissuto fuori dall’accampamento, fuori della città morirà, sarà
crocifisso.
Il problema della sicurezza dell’accampamento è oggi al centro delle
preoccupazioni delle persone per bene.
L’immigrato, il drogato, l’ammalato di Aids, il folle, l’omosessuale, il criminale in
libertà vigilata, il divorziato… sono tutte situazioni che minano la tranquillità
dell’accampamento.
La legge oggi ci permette di armarci per difendere l’accampamento.
I rumeni in corso Sicilia disturbavano la tranquillità dell’accampamento. La soluzione
è stata quella di portarli via, chissà dove, alle quattro del mattino.
I recenti avvenimenti seguiti alle vignette su Maometto riempiono ancora i giornali di
questi giorni.
E se don Andrea prete cristiano, si fa uccidere piuttosto che essere intollerante, il
ministro Calderoli, che si autodefinisce cattolico, in nome del suo cattolicesimo esprime
invece atteggiamenti contrari.
Chi non è come me, non deve esistere.
Che lo pensino i musulmani, passi, che lo affermi chi si definisce cattolico mi
meraviglia.
Mixer: Si odono le parole di don Andrea Santoro: ”Io resto qui a testimoniare
Cristo, anche a costo della mia vita”. E il ministro su citato. “Basta, porgere l’altra
guancia. Rendiamo pan per focaccia, offendono la nostra cultura cristiana”.
Suggerisce addirittura al papa di mettersi a capo di una crociata, di fare una seconda
battaglia di Vienna, una seconda battaglia di Lepanto…
Ma Cristo non dice di porgere l’altra guancia?
Che lo dica come ministro, va bene. Che lo dica come cristiano è difetto di logica.
Non possiamo impedire ai ministri di fare il loro mestiere, al limite, col voto possiamo
cambiarli; dobbiamo però chiederci come si sarebbe comportato Cristo in questi casi…
La risposta, anche se ci sconvolge, è chiara.
“Non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori; non sono venuto per i sani
ma per gli ammalati”.
Cristo vuole salvare.
Per questo il suo primo istinto non è l’esclusione ma la comprensione, non la
condanna ma l’accoglienza, anche a costo di trasgredire la legge, anche a costo di sporcarsi
le mani, di divenire impuro…
Noi viviamo, in questi tempi con particolare intensità, uno smarrimento dentro
l’accampamento, cioè all’interno delle mura della nostra sicurezza.
Dentro il nostro accampamento sono venute meno le certezze che ci permettevano,
fino ad ieri, di mettere i lebbrosi al loro posto, di distribuire gli anormali, in tutti i sensi, nei
loro compartimenti riservati.
Ci scandalizziamo del trattamento dei lebbrosi nella società ebraica, ma se andiamo a
vedere bene, noi usiamo gli stessi metodi per tutti coloro che non sanno vivere all’interno
della legalità e non sanno garantirci l’immunità dal punto di vista fisico e dal punto di vista
della legge: noi segreghiamo gli uomini incapaci a vivere come noi.
I meccanismi di segregazione non sono più così rozzi; sono raffinati, sono coperti o
dalle leggi scritte o dalle convenzioni morali che si trovano particolarmente solide e sicure
tra le persone “per bene”, tra coloro che Egli chiama i sani, i virtuosi.
Dovremmo sospettare che sotto la legalità si nasconda un’intenzione iniqua: quella
appunto, di difenderci dagli altri.
E in questo istinto di difesa ci appare sempre più discutibile, il ruolo della religione.
Perché la religione, non la fede, (è il discorso di sette giorni addietro) appone una
garanzia sacra, sui processi di emarginazione a cui sono sottoposti i deboli, al punto da dar
al debole la coscienza che è giusto che sia emarginato.
E’ il capolavoro della religione.
Convincere il povero che è giusto che sia povero: è provvidenza. Convincere il malato
che è giusto che sia malato: è prediletto da Dio. Creare un velo di giustificazione sull’ordine
esistente, con l’unica consolazione di lasciar sperare nell’altro mondo in cui queste
emarginazioni non ci saranno più.
La fede invece è chiamata a costruire un mondo diverso.
Non è facile.
Perché noi tutti, più o meno, ci troviamo dentro l’accampamento.
E allora dobbiamo fare del lebbroso un metro di misura e di giudizio per tutto
l’accampamento.
Dobbiamo perlustrare il nostro mondo alla scoperta delle emarginazioni.
In ogni città ci sono gli ospedali, i manicomi, le carceri, i brefotrofi, gli ospizi dei
vecchi… Sono tutti luoghi di lebbrosi. Dobbiamo domandarci se per caso la nostra cultura,
anche religiosa, non sia fatta in modo che chi è emarginato sia contento, come il lebbroso
che diceva: “Sono immondo, tenetevi lontani”.
Grazie a Dio si va diffondendo oggi un atteggiamento critico, nei confronti di luoghi e
ambienti che ieri venivano pacificamente accettati.
Andare a visitare i vecchietti all’ospizio è una bella opera di misericordia, ma
domandarci se è giusta una società nella quale il vecchio viene messo in un reparto speciale
è una domanda pericolosa.
Purtroppo sono questi gli interrogativi che nascono dal vangelo.
Il Regno di Dio viene quando il segregato viene reinserito nella società: il che non
può avvenire se ognuno di noi non rimette in discussione se stesso e la società in cui vive.
Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo, ci ha detto oggi Paolo.
Mi viene in mente San Francesco quando per imitare Cristo, andò a baciare ed
abbracciare un lebbroso.
“Egli imito Cristo dicono i Fioretti, non toccando il lebbroso per guarirlo, ma lasciandosi
toccare da lui per farsi guarire.
Baciando il malato, sentì, invece che amarezza, dolcezza di anima e di corpo, perché
tutta la sua umanità fu coinvolta in un nuovo amore”.
Quell’amore che, imitando Cristo, anche noi siamo chiamati a manifestare nel mondo.
Omelie