La nostra patria è nei cieli?
4 Marzo 2007 Nessun CommentoInsieme, tenendoci tutti per mano, fratelli e sorelle, donne e uomini, continuiamo questo cammino
quaresimale, verso la celebrazione della Pasqua del Signore.
“La nostra patria è nei cieli”, ci dirà Paolo nella seconda lettura, ma i nostri piedi, la nostra vita, il
nostro impegno sono ben piantati sulla terra, in mezzo agli uomini, di cui condividiamo pene e speranze.
E segno di questa speranza è certamente la nostra presenza qui, una presenza non rituale, ma
voluta, cosciente, libera, gioiosa, perché noi sappiamo che in mezzo a noi è presente Dio, che vuole
farsi compagno della nostra vita, vuole allearsi con noi.
Tutte le volte che noi, ci pigliamo per mano con qualcuno testimoniamo questa presenza fedele
di Dio nella nostra vita.
Per questo rivolgiamoci a un Dio presente vicino, non distratto e lontano, perdoniamoci e
preghiamo insieme.
LETTURE
Alleanza, è la parola chiave di questa domenica.
Dio chiama un uomo, Abramo, per allearsi con lui.
Così Egli si rivela, si manifesta: ci fa capire che non vuole dominarci dall’alto, ma farsi nostro
compagno nel cammino della sua vita…
Questa prima e antica alleanza ai realizza pienamente in Cristo, il primo uomo totalmente
alleato con Dio, e in tutti coloro che – è questa la sintesi della seconda lettura e del vangelo – sanno
ripetere con coraggio la sua esperienza nella loro vita.
OMELIA
Non c’è nel testo. Il punto interrogativo che sta alla fine della frase che sintetizza oggi il tema
della nostra riflessione, non tutti potete vederlo, l’ho aggiunto io.
Solo per fare nascere un dubbio, per porre un problema, per non concedere come scontata
qualcosa che, se abbiamo una coscienza cristiana sveglia e critica, non può passarci tranquillamente
sulla testa.
“La nostra patria è nei cieli…”
Ho riflettuto a lungo su questa frase perché è equivoca, perché, così come suona sembra dar
ragione a quanti pensano che la religione sia una evasione dalla terra, dal mondo, nel quale bisogna
camminare stando attenti a non inzaccherarsi i piedi, per raggiungere, magari il più tardi possibile, la
patria, il cielo.
Così l’avevo sempre capita anch’io e non potevo darmi pace, perché pensavo quanto fosse
strano un Dio che viene ad abitare sulla terra in mezzo a noi, che si interessa della terra, che vive la
nostra vita, che soffre i nostri dolori, che gode le nostre gioie, mentre noi, suoi seguaci, dobbiamo avere
la nostra testa da un’altra parte.
Ed allora mi sono messo a studiare e ho scoperto una cosa. La parola che usa Paolo non è
“patria”, è un’altra parola che nella lingua originaria, è il greco, significa tutta un’altra cosa.
Politeuma è la parola usata da Paolo, che non significa patria, ma costituzione, governo,
leggi, istituzioni, costumi, tutto ciò insomma che regola la vita di una comunità civile.
I Filippesi, infatti, i cittadini di Filippi, forse perché ex sudditi del famoso padre Filippo e del non
meno famoso figlio Alessandro Magno, erano sottratti alla giurisdizione della loro provincia, la
Macedonia, ed il loro ”politeuma”, la loro forma di governo, la legge che regolava la loro vita sociale era
diversa da quella di tutte le città vicine; per speciale privilegio era la stessa di quella di Roma; la loro
convivenza cioè, veniva regolata, determinata, dalle norme, dalle usanze romane, e, di questo erano
orgogliosi, fieri, perché si sentivano privilegiati.
“Siamo importanti, la nostra costituzione è quella di Roma!”
Paolo gioca su questo fatto, utilizza il gioco di parole, ed afferma che i Filippesi devono essere
fieri ed orgogliosi non perché il loro politeuma è quello di Roma, ma perché è qualcosa di più,è la legge
del regno dei cieli, è presso Dio!
Non di essere cittadini romani quindi dovete essere fieri, ma di essere cittadini del regno dei cieli,
del regno di Dio!
La vostra esistenza, pertanto, la vostra vita sulla terra si deve modellare su Dio, sulla sua
volontà, sui suoi progetti, su tutto ciò che in questo mondo egli ha intenzione di realizzare,
trasfigurando questa realtà alla luce della Risurrezione.
Se le cose stanno così questo riferimento alla patria celeste non conduce alla separazione
all’isolamento, al rifiuto del mondo e della storia, alla aspirazione nostalgica del cielo che noi, pellegrini,
in esilio sulla terra, gementi e piangenti in questa valle di lagrime desideriamo, ma all’alleanza con quel
Dio che per mezzo nostro, alleato con noi, vuole intervenire nella storia.
Dio ci invita ad allearci con Lui.
La stessa parola “Testamento”, altro non vuol dire se non “patto”, “alleanza”…
Antica, come quella di Abramo, e di Mosé, nuova come quella con Cristo, sancita non nel sangue
di capri o tori, pecore o arieti, ma consacrata dal sangue di Cristo, dalla sua vita, dalla sua croce, della
quale Paolo ci esorta a non essere nemici.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che questo patto, questo rapporto personale con Dio, questo condividere con Lui
progetti e speranze non è indolore, ma passa attraverso la croce.
E’ questo il significato della Trasfigurazione.
Un episodio che Luca, non a caso, ha inserito a questo punto del suo vangelo, dopo che Cristo
ha annunciato la sua passione, quella apparente sconfitta del maestro di cui i discepoli non riuscivano
ad afferrare il significato.
Maestro, è bello per noi stare qui.
E l’evangelista aggiunge: “Pietro non sapeva che cosa stava dicendo”.
Non conosceva ancora la strada che porta alla trasfigurazione, alla risurrezione attraverso la
croce.
Se per il singolo cristiano la croce è stata esagerata diventando gusto masochistico del dolore,
rassegnazione di fronte al male, addirittura ricerca supplementare di dolori e mortificazioni da
aggiungere ai guai che la vita già abbondantemente si incarica di fornirci, per la chiesa invece è stata
minimizzata: per l’opinione comune la chiesa per fare il bene per diffondere il vangelo deve essere
protetta, ricca, privilegiata, deve aver un partito o una coalizione di partiti che la protegga.
Un pericolo sempre presente, perché la storia si ripete, perché i potenti sono sempre pronti a
difendere Dio e la religione, sono sempre pronti a dare privilegi alla chiesa e a trattarla con rispetto e
diplomatici ossequi, per mantenerla all’interno del loro gioco.
Andreotti qualche anno fa diceva: “Non è la Democrazia cristiana che ha bisogno della chiesa, è
la chiesa che ha bisogno della Democrazia cristiana”.
Ma già un papa, nel 1300, poco simpatico a Dante Alighieri che lo ha messo all’inferno, Bonifacio
VIII affermava: “Al tempo dei martiri la chiesa primitiva fiorì presso Dio e non presso gli uomini.
Ma quando i re e gli imperatori romani e i principi si convertirono alla fede, essi, come buoni figli,
vollero onorare la loro madre e le diedero terre e proprietà, onori e dignità secolari, diritti ed insegne
regali, come fece Costantino ed i suoi successori, e così al chiesa cominciò a fiorire tanto presso Dio
che presso gli uomini.
Bonifacio VIII probabilmente non percepiva che fiorire presso Dio e presso gli uomini sono due
cose che, secondo Gesù Cristo, non possono stare insieme.
I primi discepoli, su avvertimento di Gesù, scesero dal monte e non raccontarono a nessuno ciò
che avevano visto.
La speranza della gloria di Dio noi dobbiamo portarla nel cuore.
Al fratello che incontriamo a valle non dobbiamo mostrare orpelli, privilegi, insegne, all’uomo che
incontriamo per strada importa solo che noi, come Cristo, riveliamo il volto di Dio.
Per questo, in ogni circostanza della vita è necessario muoversi, scendere, inventare, guardarsi
attorno, intervenire, superare la nostra inerzia che è sempre in agguato, il nostro scoraggiamento che
minaccia tutti, quelli che non abbiamo mai fatto niente e quelli che crediamo di aver fatto qualcosa.
Aggiungiamo a queste cose la nostra riflessione personale. Ci aiuterà a concretizzate meglio
questa Parola di Dio che, come sempre, giudica la nostra vita, una Parola davanti alla quale, saremo
capaci di assumerci le nostre responsabilità certi del perdono e della misericordia di Dio.
Omelie