Perché state a guardare il cielo?

20 Maggio 2007 Nessun Commento     

Il Gloria che abbiamo cantato mentre entravamo in chiesa, mentre ancora ci salutavamo, esprime la gioia di ritrovarci

insieme per la festa della Ascensione del Signore: la festa del nostro impegno, possiamo definirla, la celebrazione delle

nostre responsabilità.

“Tu che siedi alla destra del Padre abbi pietà di noi” abbiamo cantato. I questi brevi istanti di riflessione e di preghiera

chiediamo a Dio che ci perdoni nonostante le nostre responsabilità non assolte e i nostri impegni lasciati a metà.

LETTURE

Tutte e tre le letture tendono ad illuminare da angolazioni diverse la festa che celebriamo.

Luca negli Atti, Paolo nella lettera agli Efesini, Marco nel brano del vangelo hanno registrato il modo con cui i primi

cristiani hanno interpretato e vissuto la scomparsa di Cristo.

L’ascolto attento di queste pagine ci permetterà di rivivere e di realizzare nella nostra vita quegli atteggiamenti che

furono propri dei primi discepoli al momento della Ascensione del Signore.

OMELIA

Quaranta giorni dopo la sua risurrezione Cristo è assunto al cielo…

Ma il cielo non esiste!

Il cielo come luogo al di sopra delle nostre teste in cui abita Dio, circondato dai cori degli Angeli, è solo un modo di

dire, un modo di immaginare ciò che non è immaginabile.

Non era così per gli antichi.

Allora scienza, filosofia ed opinione comune coincidevano nell’immaginare il cielo come un insieme di sfere di

purissimo cristallo che circondavano la terra, centro dell’universo, al sommo del quale, al nono cielo, splendeva la gloria

di Dio.

Noi oggi siamo più smaliziati. Sappiamo che il cielo non esiste.

Esiste l’universo, infinito. E la terra, questa nostra terra, questa aiuola, come dice Dante, che ci fa tanto feroci, è solo

un granello di sabbia sperduto nella immensità degli spazi, sulla quale, chissà per quanto tempo, attecchirà questa muffa

cosmica che è la vita, ed in particolare la vita umana…

Non siamo più il centro, l’ombelico del mondo. Siamo una microscopica goccia sperduta nella periferia dell’universo.

Cosa vogliamo dire allora quando diciamo di credere che Cristo “è salito al cielo”?

Che significato, concreto, reale, hanno queste parole?

Per capirci qualcosa abbracciamo con un solo sguardo queste quattro domeniche: 20, 27 maggio, 3 e 10 giugno.

Quattro domenice, altrettante “feste”: Ascensione, Pentecoste e Trinità, e Corpus Domini.

Non rappresentano solo una commemorazione, un ricordo.

Ascensione, Pentecoste, Trinità, non sono altro che modi diversi per dire Pasqua, per farcela capire meglio questa

Pasqua, l’unica vera festa dei cristiani, che abbiamo celebrato 40 giorni fa.

La celebrazione successiva di queste feste, scandite nel tempo, tende a farci capire che Cristo risorto è l’uomo

nuovo, rinato, ri-creato, il primogenito di tutte le creature, il nuovo Adamo, il prototipo di una nuova specie, di

una nuova umanità, il capo di un corpo, la chiesa, l’insieme di quelli che accettano la sua parola, ai quali Dio

promette di inviare lo Spirito per collaborare con lui alla salvezza del mondo.

Il cielo è simbolico: è la nuova dimensione al di fuori dello spazio e del tempo, per noi inimmaginabile, in cui è

immerso il risorto.

I 40 giorni sono simbolici, per noi e per i primi cristiani.

Perché i 40 giorni non sono 40 giorni, ma sono 40, 400, 4000, tutti i giorni che il Signore ci da e indicano il cammino

di fede necessario per superare il dubbio, per accrescere la fede, per sentirsi trasformati come Lui per mezzo della

Spirito, per essere caricarsi della stessa missione di Cristo: battezzare, immergere ogni uomo nel Padre, nel Figlio e nello

Spirito.

E cominciamo oggi dalla ascensione.

“E’ bene che io me ne vada” dice Cristo ai discepoli prima di scomparire dalla loro vista.

“E’ bene che io me ne vada”.

Perché?

Forse perché la scomparsa, l’allontanamento, l’entrare in penombra del leader, della guida, del capo, del maestro, fa

parte dello scopo che il vero capo, il vero maestro intende raggiungere: far crescere, far diventare adulti, far maturare,

rendere responsabili delle proprie scelte i suoi discepoli.

E’ necessario sottolineare tutto questo.

Cristo quando diceva “gregge” non pensava ad un gruppo di persone che rimangono infantili, come tante pecore,

intruppate, allineate, coperte, che dove l’una va e l’altre vanno, mi pare dica Dante, senza iniziativa, senza autonomia,

senza la capacità di giudicare alla luce del vangelo, senza braccia né piedi (che non sarebbe poi tanto grave), ma – e

questo è molto più grave – senza testa, prive cioè della capacità di compiere uno sforzo personale, diretto di

confrontare la propria vita con la realtà, la realtà con il vangelo…

Questo è avvenuto in forme macroscopiche nella chiesa, e, ancora oggi, non è scomparso del tutto.

Per quanto tempo nella chiesa il popolo è stato espropriato dalla Parola di Dio?

Quanti di noi, che pure veniamo alla domenica in una comunità cristiana, siamo capaci di confrontare

autonomamente, senza aspettare che parli il prete, i problemi della nostra vita con il vangelo?

Quanti di noi leggono la bibbia come guida per la propria vita?

Due amici mi hanno regalato un libro: Elogio del dissenso, nella chiesa si capisce.

Lo leggerò volentieri. Il dissenso, rispettoso, fa crescere anche nella chiesa..

La vera guida non è chi pensa per te, ma chi ti insegna a pensare.

Il vero maestro non è chi decide per te, ma chi ti insegna a decidere.

Il vero capo non è chi comanda, ma chi ti invita ad diventare adulto, ad assumerti le tue responsabilità, anche

quella, terribile di sbagliare.

Cristo è il nostro capo.

Egli non ti dice, passo passo, “pilo per pilo”, tutto quello che devi fare, ma ti propone di scegliere la via dell’amore e

della responsabilità con la quale tu devi in ogni momento confrontarti.

Penso a tanti maestri che non sanno abbandonare i discepoli perché non hanno saputo insegnare loro a camminare da

soli.

A tanti genitori che non sanno abbandonare a poco a poco, la mano dei loro figli, perché non hanno insegnato loro a

camminare.

A tanti preti che non hanno fatto maturare la libertà di figli di Dio, ma solo la docilità alle loro direttive e la rinunzia

acritica al proprio punto di vista…

Non parliamo di politici dei nostri politici, che vanno in pensione con redditi non proprio miserabili, ma il più tardi

possibile.

In Italia la nostra classe politica ha almeno tre primati:

Siamo secondi al mondo per numero di parlamentari: il primo paese è la Cina che fa più di un miliardo di abitanti.

Siamo primi in quanto a reddito: i nostri parlamentari, nazionali ed europei sono i meglio pagati del mondo.

E poi abbiamo i politici più vecchi del mondo: Blair si ritira a 55 anni, Sarkosy ha 52 anni, la sua antagonista,

Ségolene Royal 54, Zapatero è stato eletto a 44 anni, Agata Merkel a 54; in Italia berlusconi ha 71 anni e Prodi 69; l’età

media delle 5 cariche istituzionali è 74 anni; largo ai giovani!

Cristo se ne è andato un po’ prima!

Perché vuol farci diventare adulti, responsabili, Egli non vuole automi, vuole responsabilizzarci, ci riempie di amore,

non atrofizza ma mette in moto la mente e il cuore, non sottolinea la docilità e il gregarismo, ma l’iniziativa, che non

apprezza la sottomissione ma la libertà; che certo non ci vuole disobbedienti, che apprezza l’obbedienza, ma che alla fine

ci chiederà: Perché hai obbedito?

Cristo ci chiederà conto della maniera con cui ci siamo fatti carico delle nostre responsabilità vero questo mondo,

animati dallo Spirito che Cristo promette di inviare a chi glielo chiede di cuore.

In attesa della Pentecoste preghiamo insieme per questo.

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