Giunga a te Signore, il grido del povero

28 Ottobre 2007 Nessun Commento     

E’ un clima particolare quello che si crea, ogni volta, prima della nostra celebrazione…Piuttosto che trovare un’aura di sacralità, di riservato silenzio, di individualismo religioso, noi ci salutiamo, ci veniamo incontro col sorriso, con l’interessamento reciproco…

Questa accoglienza, questo clima di gioia, di banchetto, di festa, nei fatti è già preghiera, è lode e ringraziamento a Dio.

Questa accoglienza si rivolge oggi a questi bambini…che sono già, in qualche modo, capaci di percepire la gioia e l’accoglienza che si crea attorno a loro…

Sono troppo piccoli per accettare con consapevolezza l’impegno cristiano.

Il compito di educarli a questo con la testimonianza è di ognuno di noi… dei genitori…, dei padrini, di tutta al comunità cristiana nella quale vengono inseriti.

Speriamo di essere all’altezza del nostro compito.

E di tutte le volte che non siamo stati capaci di questo chiediamo perdono al Dio, con la stessa sincerità con la quale vedremo che si pente il pubblicano del vangelo che tra poco ascolteremo.

LETTURE

Se ricordate le letture che abbiamo ascoltato domenica scorsa, vi accorgerete che c’è un legame con quelle di oggi..

I temi della giustizia e della preghiera sono intrecciati nella prima e nella seconda lettura, ma tutto converge sul passo di Luca: la parabola del fariseo e del pubblicano.

Una parabola che, ancje oggi, ci costringe ad un esame di coscienza, ad una processo di identificazione.

Ci riconosceremo fra i farisei o fra i pubblicani?

Questa ed altre domande che potranno venirci in mente durante l’ascolto saranno per noi un serio esame di coscienza, il cui risultato non potrà non avere serie conseguenze nella nostra vita.

OMELIA

“Dimmi come preghi e ti dirò che sei…, ti dirò che cristiano sei”.

Con queste parole potremmo riassumere quanto dicevamo domenica scorsa e proiettarci su quanto ci viene proposto oggi.

Il nostro modo di pregare può essere un indice, una cartina di tornasole del nostro essere uomini, e del significato che diamo al nostro essere cristiani; è un sintomo che può farci scoprire come ci poniamo davanti a noi stessi, davanti agli altri, e davanti a Dio.

Facciamo, oggi, un passo indietro…

Non è facile.

Spesso ci viene più spontaneo, più naturale, guardare fuori di noi, puntare il dito sulla ingiustizia degli altri, sulla ipocrisia, sulla corruzione, sul male che ci circonda…

Non è che non ce ne manchi l’occasione o il motivo… il mondo della economia, il mondo della politica, il mondo degli affari, tutto ciò che ci circonda nei rapporti con gli altri, sul posto di lavoro, alle volte persino in famiglia, è spesso fondato sull’apparenza, sul sembrare piuttosto che sull’essere, sull’accalappiamento della buona fede altrui, sulla ipocrisia, piuttosto che sulla sincerità.

La ricerca del proprio tornaconto è così connaturata, e quindi così inconscia e inconsapevole, che spesso rappresenta il luogo più profondo delle nostre scelte, di tutte le scelte della nostra vita.

Ecco perché oggi siamo invitati, prima di guardare fuori di noi, a guardarci dentro…, prima di notare la pagliuzza a guardare la trave, per mettere le premesse, le condizioni che potranno poi permetterci di guardare fuori di noi con maggior oggettività.

C’è un vecchio film di Blasetti che nessuno vede più, anche se qualche televisione privata ogni tanto lo trasmette quando non c’è nulla di meglio, negli orari più scomodi. Una ironica e pungente satira dell’egocentrismo, del mettere se stessi al centro del mondo, di considerarsi l’ombelico dell’universo: “Io, io, io… e gli altri”.

E’ strano, ma anche pregando si può peccare…

Io al centro. Gli altri attorno.

E’ il primo peccato del fariseo: Io non sono come tutti gli altri, io…

Il suo sguardo, in quelle parole che non sono preghiera, ma autoincensazione, non è puntato su Dio, ma su di sé. E’ la negazione della preghiera.

Non so Dio cosa prova… ma noi proviamo certamente fastidio quando, in una conversazione, c’è qualcuno che non fa altro che dire: “Io…”, lo si ascolta con fastidio…

Il secondo peccato, forse più grande del primo ed oggi molto frequente è quello di usare Dio. Di servirsi di Lui non per unire, per affratellare, ma per dividere, per separare, per separarsi dagli altri.

Il terzo peccato consiste nel non aver capito che davanti alle esigenze del vangelo, della scelta cristiana, siamo tutti nella stessa barca.

E il quarto peccato, probabilmente il più grande di tutti, consiste nel credere di non aver bisogno di Dio.

“Sono io che faccio il bene! Quanto sono bravo! Dio deve solo registrare i miei successi e darmi la ricevuta! E’ come il cassiere della mia banca! E’ mica lui il responsabile dei miei guadagni. Lui deve solo diligentemente prenderne nota con gli interessi!”

Sembra invece – almeno a quanto ci ha detto Gesù Cristo – che davanti a Dio le cose stiano in maniera alquanto diversa.

Non sei tu a salvare te stesso…E’ Dio che ti salva.

Né è il bene che fai che ti da diritto al premio. Ciò che fai, se lo fai, è’ solo una conseguenza: la conseguenza del fatto che Dio ha talmente riempito la tua vita, che tu ti sei talmente lasciato trasformare da Lui, che sei capace di amare col suo stesso cuore…

Il fariseo è un uomo sterile.

La prova della sua sterilità è l’elenco delle cose che non fa: non è un ladro, non è ingiusto, non è un adultero, soprattutto non come quello laggiù, come quel pubblicano..

Ma invano tu trovi in questo elenco un gesto d’amore…

Proviamo a identificarci.

Siamo tra i farisei o tra i pubblicani?

Intanto stiamo attenti: anche identificarsi è pericoloso: perché se ti identifichi con il fariseo, sei perso, ma se ti identifichi con il pubblicano e dici: “Ti ringrazio o Dio perché non sono un fariseo, corri il rischio di diventare un fariseo anche tu…

In realtà il fariseo e il pubblicano, l’ipocrisia e la sincerità, il riconoscimento dei nostri peccati e l’esaltazione di noi stessi, la capacità di umiliarci davanti a Dio e di metterci un gradino al di sopra degli altri, convivono dentro di noi… perché, lo sappiamo, la linea che divide il bene e il male, non passa all’esterno, ma dentro, all’interno della nostra anima, della nostra coscienza.

Dobbiamo pregare come pregherebbe un fariseo che prende coscienza della sua superficialità, come pregherebbe un pubblicano che cerca di venir fuori dai suoi peccati.

Perché noi non siamo né giusti , né peccatori.

Siamo contemporaneamente giusti e peccatori.

Siamo peccatori, non: “facciamo peccati”. Siamo sempre peccatori perché, per quanto ci sforziamo, sempre grande è la distanza fra ciò che riusciamo a fare e ciò che Dio vuole da noi, fra l’amore che abbiamo e quello che dovremmo avere; siamo peccatori perché siamo in cammino, perché cresciamo sempre, e guai se non fosse così, perché la nostra metà è quella di essere perfetti “come il Padre che è nei cieli”.

Il pubblicano sa che è un peccatore …cronico.

Fa parte di quella categoria di persone che le persone per bene, i”giusti”, i preti, emarginano, mettono da parte, persone che si trovano dalla parte sbagliata…

Ci sono anche oggi, e spesso soffrono, per colpa della società l’emarginazione.

C’è il separato, il divorziato, l’omossessuale..

Notate bene:

Il pubblicano prima di uscire dal tempio non dice: “non farò più il pubblicano…

Probabilmente non può uscire immediatamente da quella condizione…

Eppure, dice Cristo, va via giustificato…

Come lui, ognuno nel suo campo, noi siamo peccatori ma contemporaneamente giusti, perché è Dio ci giustifica, che ci rende giusti, non le nostre opere buone. Siamo giustificati perché Dio ci ama, perché Dio è accanto a noi, se non affondiamo nella presunzione, e se riconosciamo che quelle quattro cose che riusciamo a fare sono dovute alla Sua presenza dentro di noi.

E sulla coscienza della nostra limitatezza e della infinità bontà di Dio si fonda la nostra fiducia, il nostro ottimismo, la nostra capacità di non scoraggiarci né davanti ai nostri limiti, né davanti ai mali del mondo.

Da questi atteggiamenti può nascere la nostra preghiera.-

Una preghiera che capovolge quella del fariseo. Una preghiera che ognuno di voi può fare propria se crede che gli calzi addosso.

Una preghiera che chiunque di noi potrà allargare, potrà completare o nel silenzio della propria anima o come testimonianza davanti ai suoi fratelli.

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