Esci dalla tua terra, e và

17 Febbraio 2008 Nessun Commento     

Il ritornello del canto con il quale abbiamo iniziato questa Eucaristia sottolinea una delle dimensioni fondamentali della nostra vita umana e cristiana. Noi siamo chiamati da Dio e la nostra vita è sempre una risposta a qualcosa o a qualcuno.

La stessa “parola” chiesa”, nella quale ci troviamo, non indica – lo sapete – un luogo, ma un gruppo di persone chiamate, convocate…

Essere cristiani rispondere ad una chiamata.

Rispondere in modo cosciente, serio, impegnativo, entusiasta…

Ad una chiamata si può rispondere in tanti modi: c’è il “sì” della generosità, c’è il “no” del rifiuto, c’è il “ni” della indecisione…

Per tutte quelle volte nelle quali non abbiamo avuto la forza e il coraggio di rispondere generosamente sì alla chiamata di Dio, chiediamo perdono…

LETTURE

Il Vangelo di questa domenica, seconda di quaresima, racconta la Trasfigurazione di Cristo. A Pietro, a Paolo, a Giovanni, Cristo si rivela per quello che è; fa intravedere per qualche istante la conclusione, la metà finale del suo cammino.

Il messaggio di oggi è chiarissimo: Dio ti chiama a collaborare con Lui, la strada non sarà facile, ma la riuscita, sicura.

Ascoltiamo!

OMELIA

E’ la seconda tappa, questa domenica della Quaresima, del nostro cammino verso la Pasqua.

La Quaresima: quaranta giorni per comprenderci come cristiani, per riflettere su come siamo e su come dovremmo essere…

Siamo partiti domenica scorsa, da zero.

Siamo stati presi nel nostro mondo, con tutti i suoi problemi, in mezzo alle nostre difficoltà: ci sono state presentate due possibilità: allearci con il male o allearci con Dio.

Oggi, la proposta continua.

Abramo, il padre della fede, infatti, è colui che, per primo, nella storia biblica del mondo e dell’uomo, dice di sì a Dio.

Dio, creando il mondo aveva collezionato una serie di fallimenti: Adamo ed Eva fanno a meno di Lui, Caino uccide Abele, ed introduce sulla terra, l’odio e lo spargimento di sangue; Lamech, subito dopo, la vendetta; il diluvio è segno della corruzione universale; la torre di Babele sancisce la confusione, la separazione e l’incomunicabilità fra gli uomini che non riconoscendo Dio come Padre non si riconoscono nemmeno fra loro come fratelli.

Guardiamoci intorno! Non è difficile leggere nella serie di questi fatti, raccontati nella Genesi, una allegoria, una figura, una costante della storia, della storia di tutti i tempi, e dei nostri tempi.

L’odio, la guerra, la vendetta, la sopraffazione tessono i nostri rapporti quotidiani…

Ma, nonostante questi fallimenti, Dio, non si perde d’animo.

Cerca ancora qualcuno di cui si possa fidare, qualcuno con cui allearsi, nel tentativo di far funzionare quel mondo che, uscito perfetto dalle sue mani, è stato deturpato e guastato dalla bestialità umana.

Abramo anticipa nella sua vita, nelle sue scelte, nelle sue riposte, l’atteggiamento di tutte quelle donne e di tutti quegli quegli uomini che si fidano di Dio.

Per questo è il Padre della fede.

Abramo anticipa in maniera particolare Cristo e, dopo Cristo, tutti coloro che decidono di mettere, la loro vita al servizio del buon funzionamento del mondo…

E’ questa la fede cristiana.

E’ questa la fede che veniva proposta nei primi tempi della chiesa agli adulti che si preparavano a ricevere il Battesimo, per celebrare la loro alleanza con Dio.

E’ questa la fede in cui battezziamo oggi questi bambini, è questa la fede che dobbiamo riscoprire.

Non è facile.

Cristo ha tentato per tre anni di convincere quei pochi che andavano dietro di Lui a fidarsi di Dio, ripetendo continuamente che la via della Risurrezione, della Trasfigurazione del mondo, del cambiamento, della vita nuova, deve passare attraverso la Croce dell’impegno, della risposta generosa, della responsabilità.

Pietro tentò di distoglierlo da questa strada. “Allontanati da me, Satana, rispose Cristo, aggiungendo perentoriamente: “Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce.

Dopo sei giorni, annota Matteo, Cristo a Pietro, a Giacomo, a Giovanni, sul monte Tabor fa intravedere la meta, la trasfigurazione, il cambiamento, il risultato. Lo stesso Cristo che dovrà soffrire, che sarà condannato, che sarà ucciso, è quello il cui volto risplende di luce, è quello che dopo questo cammino risorgerà a vita nuova.

Per Pietro, Giacomo e Giovanni è stato necessario possedere questa certezza per continuare a seguire Cristo.

E noi, quali certezze abbiamo?

Quale volto abbiamo visto per credere ai risultati dei nostri sforzi?

Quale esperienza abbiamo avuto per continuare ad impegnarci e superare le difficoltà che ineluttabilmente incontriamo nel nostro cammino?

Noi, su quel monte non c’eravamo.

Ma, pensiamoci bene…

Se, dopo i sei giorni della settimana, noi, costantemente, non una volta l’anno, siamo qui, insieme, se continuiamo a venire, se non ci rassegniamo, se siamo pronti sempre a ricominciare, se alle chiamate che ci vengono da tutte le parti cerchiamo di dare una risposta, è forse perché qualche volta abbiamo intravisto il volto glorioso di Cristo, perché abbiamo intravisto, dietro la croce del quotidiano, il punto di arrivo, la meta finale…

E’ un’esperienza che ho la gioia di cogliere spesso sulle labbra di molti fra di voi, di molti fra di noi che vivono che viviamo questo momento come punto di partenza per tanti altri momenti di impegno nella nostra vita, che spesso vengono proposti nellal nostra comunità.

Orizzonti nuovi si aprono davanti ai nostri occhi. Ci fanno uscire dalla banalità della vita quotidiana, dalla ripetizione delle cose di tutti i giorni, ci spingono ad impegnarci su fronti difficili e ardui. Ed è questo impegno, questa apertura mentale che poi non ci ripiega su noi stessi nelle cose ordinarie, ma ci aiuta, anche nelle cose più banali della vita, ad ottenere il meglio da noi stessi.

Ecco l’importanza per noi di questa celebrazione festiva.

“Sei giorni dopo li condusse in disparte, su un alto monte”.

E’ un innegabile riferimento liturgico questa annotazione cronologica di Matteo.

Sei giorni dopo aver camminato… E’ il settimo giorno, è il giorno della festa, è il giorno in cui si gode insieme guardando indietro il cammino percorso, e progettando in avanti insieme, con speranza, gli obbiettivi da realizzare…

Questo è la messa.

Questa messa che celebriamo è la trasfigurazione del mondo, la nostra trasfigurazione.

E’ la scoperta delle leggi del buon funzionamento del mondo, leggi che qui applichiamo facilmente e che ci viene tanto difficile applicare fuori di qui…

Qui impariamo come dovrebbe funzionare il mondo secondo Dio, qui impariamo a fidarci di Dio.

Questo è il mondo del perdono e dell’accoglienza, dell’ascolto e della gioia, della pace e della condivisione, della fraternità e del desidero di instaurare rapporti nuovi e sinceri con tutti, anche con gli sconosciuti…, di rompere le barriere che i separano l’uno dall’altro, di avvicinarci, di comunicare, di parlare…

Perfino se uno di noi si sente male in chiesa, come qualche volta è capitato, può stare tranquillo. Ci sono almeno altre cento persone che qui si prendono cura di lui.

Mentre fuori di qui è più facile che accada il contrario.

E’ certamente bello per noi stare qui.

Lo ha detto Pietro sul monte.

Lo diciamo anche noi.

Ma dobbiamo scendere dal monte senza dire a nessuno ciò che abbiamo visto.

Strano questo comando di Gesù.

Forse perché, quando si segue Cristo, ciò che importa di più non è il dire, ma il fare.

Per noi tutti preghiamo perché Dio ci aiuti a scendere dal monte capaci di far trasparire dalla nostra vita il volto di Dio.

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