Non vi lascerò Orfani

27 Aprile 2008 Nessun Commento     

Il Signore sia con voi!

Con la grazia di Dio ci ritroviamo insieme, a celebrare questa Eucaristia, per crescere, in questo tempo pasquale, nella fede e nella speranza.

Disponendoci ad accogliere nella nostra vita la Parola di Dio, perdoniamoci fra di noi ed estendiamo il nostro desiderio di pace e di comunione anche fuori dalle mura di questa chiesa, nelle strade del mondo dove l’odio e la violenza sembra non abbiano mai fine.

LETTURE

Cerchiamo di capire la nostra esperienza cristiana. Oggi, sesta domenica dopo Pasqua.

Domenica prossima: Ascensione, (4 maggio), fra 15 giorni (11 maggio) la Pentecoste: il momento più importante per i discepoli e per noi: Lo Spirito Santo…

Il dono dello Spirito che ci rivela chi è Dio, ci permette di chiamarlo Padre e, per questo di trattarci come fratelli…

Non siamo orfani… ci dice l’apostolo Giovanni, non siamo soli, abbandonati; al cristiano resta sempre una chance, una via d’uscita, una speranza, aggiunge la lettera di Pietro che dobbiamo essere capaci di mostrare, di rendere visibile a chi della speranza ha perso le tracce.

Ascoltiamo!

OMELIA

Tante piazze d’Italia, ierri si sono riempite di manifestanti: chi pro, chi contro… perf un motivo o per un altro, parecchia gente, invece di andare al mare in campagna è andata a “manifestare”: cioè a mostrare ciò in cui crede, ciò per cui combatte, ciò in cui spera… Manifestare si può anche dire: testimoniare!

Certo, lo dicevamo domenica scorsa, commentando la prima lettera di Pietro: Le celebrazioni, sono inutili. Tutte le celebrazioni sono inutili. Sia quelle religiose che quelle laiche, civili. L’inportante è la vita.

Manifestare contro la mafia o contro la guerra…a che serve? Sentivo qualche giorno fa un commento a ciò che sta avvenendo in Francia. “C’è chi va in piazza e chi vota, ma è più importante chi vota”.

Purtroppo anche il voto è inquinato. L’avete vista lunedì sera, su La7 l’inchiesta sulle ultime elezioni a Catania?

A che serve manifestare? dicono in tanti. Che cosa cambia?.

Ma, in ogni manifestazione, in ogni celebrazione l’inutilità si sposa con l’indispensabilità.

Questa messa è un celebrazione ed è insieme inutile e necessaria.

Inutile, perché sembra che il mondo continui a girare allo stesso modo attorno ad essa.

Necessaria perché, se intensamente vissuta, ci cambia dentro. Ci fa scoprire con gioia ciò che siamo e ci stimola a diventare ciò dovremmo essere; ci trasforma, e, quindi, ci rende capaci, nella vita concreta, che è sempre fuori dalla celebrazione e che comincia dove essa finisce, a contribuire al cambiamento del mondo.

E se le celebrazioni laiche, attraverso la condivisione di determinati valori, fanno prendere coscienza che non si è soli a desiderare la pace, la giustizia, la libertà, la democrazia, le celebrazioni per il cristiano hanno una marcia in più: la trasformazione che producono in noi, il coraggio che può nascere dentro di noi non viene solo da una spinta psicologica, dal prendersi per mano, in girotondo, con altre persone che la pensano come te, la fede ci dice che proviene, dalla potenza di Dio, dalla potenza del suo spirito, grazie al quale diventiamo figli e possiamo chiamarlo Padre.

Fermiamoci oggi su questo particolare, sulla paternità di Dio, spesso sottolineata da Cristo nei brani del vangelo che stiamo leggendo in queste domeniche.

“Non vi lascerò orfani.”

Vi invierò – è Cristo che parla – lo Spirito che vi insegnerà a chiamare Dio con un altro nome.

Non chiamatelo più Dio, chiamatelo Padre.

Su che cosa si fonda e che cosa produce in chi sceglie di seguire Cristo la rivelazione della paternità di Dio?

Che Dio sia nostro Padre è un messaggio chiaro, ma non evidente.

I fatti dimostrano spesso il contrario.

Sono tanti gli orfani, per i motivi più diversi: o perché non hanno più un padre e una madre: penso a quei bimbi che vediamo, ogni giorno, vagare sugli schermi televisivi, ai quali la guerra, ha ucciso entrambi i genitori; e ci sono orfani che hanno un padre e una madre, ma è come se non li avessero.

Ma la solitudine, non è solo l’esperienza del bambino abbandonato, è l’esperienza dell’adulto di fronte alle difficoltà della vita. Sentirsi soli, senza punti di riferimento… fa parte della esperienza umana, e può condurre alla disperazione.

Bene: per il cristiano non è così. Forse perché il mondo va bene? O perché Dio interviene prontamente ad eliminare i suoi guai? O perché abbiamo tanti santi pronti a fare miracoli? Come dimostrano le folle di questi giorni a San Giovanni Rotondo?

Guardo con un misto fra il dispiacere e la stizza quelle trasmissioni televisive nelle quali si insiste sui miracoli: ce ne era una l’altra sera sullal riesumazione del corpo di Padre Pio, e lì preti e laici incapaci di dire alla gente che Gesù Cristo fu il primo a dire che la fede non si basa sui miracoli.

Il Vangelo non fonda la paternità di Dio sulle evidenza delle cose, come fanno i cattivi difensori di Dio, quelli che per spingere la gente a credere in Lui, mettono in luce le cose belle del mondo dimenticando quelle brutte.

Un terremoto, un tornado, un cataclisma sono fenomeni altrettanto naturali di un prato pieno di fiori, di un bellissimo cielo stellato, o di un dolce tramonto sul mare.

Il riconoscimento dellal paternità i Dio nasce da qualcosa d’altro: dalla ripetizione, da parte nostra della esperienza di Cristo.

Credere alla paternità di Dio vuol dire far nostra l’esperienza di Cristo che ha accettato di essere figlio, figlio di Dio e figlio dell’uomo, come lui ama definirsi, accettando in pieno la sua condizione umana, che ha affrontato con coraggio la vita, fiducioso però, ecco il punto, che l’ultima parola davanti a tutti i guai, perfino davanti alla morte, sarebbe sempre stata quella del Padre, nelle cui mani era affidata la sua vita.

Credere alla paternità di Dio significa non solo credere all’amore di Dio, nonostante tutto…

Crediamo noi alla paternità di Dio?

Ci crediamo se ammettiamo che Dio è migliore di noi, se ce lo immaginiamo più affettuoso, più comprensivo, più delicato del migliore dei padri e delle madri.

Ci crediamo se pensiamo che Dio è buono, amichevole, senza pregiudizi nei nostri confronti; se il suo incontro ci riconcilia con lui e con noi stessi; se, vicino a lui, ci scopriamo sopportabili.

Ci crediamo se siamo convinti che saremo salvati non a causa dei nostri meriti e delle nostre virtù, ma perché Lui è Padre.

Ci crediamo se siamo convinti che Lui ha una tale potenza paterna da essere capace, anche in noi, giorno dopo giorno di generare un figlio, una figlia.

Se non crediamo che Dio è capace di avere dei figli, e se non crediamo che più il figlio è ribelle, malato, cieco, ingrato, vile, più il padre gli si affeziona, gli si consacra, lo perseguita con i suoi doni; se non crediamo che Dio è capace di suscitare in noi un figlio o una figlia, non crediamo neppure che Egli è Padre onnipotente.

Dio non è Padre come lo siamo noi. La nostra paternità. la nostra maternità, non sono la misura, il modello dell’amore di Dio. Al contrario: è la sua paternità ciò a cui noi dobbiamo modellarci.

Perché dire che Dio è Padre è pur sempre una metafora, una traslazione del nostro linguaggio. Quel papa per un mese che si chiamava Giovanni Paolo I° osò dire che Dio è Padre e madre!

Chi è padre, chi è madre?

Chi comincia ad amare per primo. Essere padre, essere madre significa prendere l’iniziativa dell’amore.

Chi dice Padre, chi dice madre,dice dono.

Diventare padre (o madre), significa accettare il secondo posto, significa mettere tutta la propria gioia alla mercé di un altro.

Si è padre e madre di coloro per la felicità dei quali si è lieti di essere dimenticati, di spogliarsi, di perdere la propria indipendenza e la propria tranquillità.

Dobbiamo imparare la nostra paternità e la nostra maternità dalla paternità e dalla maternità di Dio.

Ecco perché diventare padre, diventare madre, significa somigliare a Dio. Amare qualcuno come ama Dio significa amarlo come se fossimo noi suo padre, sua madre; sopportare tutto, soffrire tutto, sperare tutto. L’infinita pazienza d cui siamo capaci con i figli è una rivelazione di Dio scritta nel cuore di ciascuno di noi.

Ognuno di noi è un po’ padre e un po’ madre (perché, è superfluo dirlo, la paternità e la maternità vanno al di là della sfera fisica) per tutti coloro che la nostra presenza risveglia, per tutti coloro che sono diventati sensibili a cose che senza di noi non avrebbero mai conosciuto; e dobbiamo avere l’umiltà di continuare questa parte con loro, anche se non ci hanno mai detto grazie, anche se non dimostrano di essere contenti.

Se siamo un po’ padri e un po’ madri, non ci sentiremo orfani di Dio.

Ecco le ragioni della nostra speranza.

Una speranza alla quale è ancorata la nostra vita.

Una speranza alla quale è affidata la presenza di Dio nel mondo, la rivelazione del suo amore per tutti gli uomini.

Preghiamo per non sentirci orfani e perché, vicino a noi non si senta orfano nessuno.

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