Il Regno di Dio è un banchetto

12 Ottobre 2008 Nessun Commento     

Il Regno di Dio è un banchetto, è un invito a pranzo, una tavola apparecchiata… ci dirà oggi la Parola di Dio.

Ed anche questa Eucaristia, alla quale siamo stati invitati, è certamente un segno, un anticipo del regno.

Per celebrarla, allora, per viverla nel migliore dei modi, creiamo fra noi e il Padre che ci ha invitati, fra noi e i nostri fratelli che sono stati invitati con noi, quella corrente di amore, di disponibilità, di fiducia, di calore umano che rende bello, trovarsi e mangiare insieme…

LETTURE

Dalle parole di Isaia al vangelo di Matteo Dio ci propone di partecipare al pranzo che Egli stesso ci prepara.

Ascoltiamo con attenzione! Anche oggi capiremo di più di ciò che Dio si attende dalla nostra vita.

OMELIA

Che cosa si aspettano, voi cristiani, dopo questa vita?

Se ci fosse posgta questa domanda forse resteremmo un po’ interdetti…

Qualcuno resterebbe in silenzio, o balbetterebbe qualcosa, altri risponderebbero: il Paradiso, ma senza troppa convinzione; forse, qualche persona colta, di quelle che sanno parlare, userebbe qualche frase difficile e poco entusiasmante…

Per il profeta Isaia, per Gesù Cristo, non ci sono dubbi: l’al di là è un banchetto, proprio così, un pranzo, una occasione in cui si sta bene, si gode, ci si trova fra amici, un pranzo in cui si mangia bene, addirittura, un banchetto di nozze.

Certamente ai tempi di Isaia e di Gesù i pranzi di nozze erano veramente occasioni straordinarie di gioia, di incontro di comunione, di festa…

Forse, se Isaia e Cristo, avessero immaginato i pranzi dei nostri tempi, avrebbero usato – chissà! – altri linguaggi.

Salvo qualche eccezione, almeno questa è la mia esperienza, raramente nei nostri matrimoni si riesce a creare qual clima che rende veramente piacevole stare insieme.

Gli sposi arrivano spesso con notevole ritardo mentre gli invitati svengono per la fame e la stanchezza; fra una portata e l’altra si può fare tranquillamente una passeggiata, ognuno mangia per conto suo; mentre abbozza un sorriso di circostanza per la foto ricordo; col vicino, ci si lamenta del secondo che non è secondo i propri gusti, e se si va a capitare con qualcuno che ci è estraneo o antipatico non si sa che cosa dire mentre si guarda l’orologio aspettando con ansia il taglio della torta per afferrare la bomboniera e fuggire…

Eppure non c’è nulla di più bello che questa immagine, quella di mangiare insieme, per raffigurare il nostro futuro, quello che Dio prepara per tutti i popoli, e quello che egli vuole che noi prepariamo insieme a Lui.

Perché questo è il sogno di Dio: che tutti gli uomini siano una sola famiglia, che possano sedere insieme alla stessa tavola, che non ci sia fra di loro chi si abbuffa e chi muore di fame, perché, se tutto questo non è possibile in paradiso, noi dobbiamo fare tutto il possibile perché non avvenga nemmeno su questa terra.

Noi distinguiamo, separiamo questa dall’altra vita.

Per Dio invece sono una cosa sola…

E siccome nell’al di là, la gioia consisterà nella comunione, nella condivisione, nell’amore, questa vita Dio ce l’ha data per allenarci, per abituarci, per far maturare dentro di noi questo atteggiamento (è questa la veste nuziale del vangelo?), senza di cui saremmo degli spaesati nel Regno di Dio.

Se quaggiù non abbiamo amato, là che faremo? Se non abbiamo condiviso, là con chi staremo? Se abbiamo mangiato sempre con gli occhi nel nostro piatto, che faremo dall’altra parte? Se il nostro cuore si è chiuso in questo mondo alle esigenze, ai bisogni, all’amore, alla compassione, come potrà aprirsi per contenere l’amore di Dio?

Perché il Paradiso e l’inferno noi li sperimentiamo già qui, su questa terra…

Vi ricordo, ve l’ho raccontata certamente qualche altra volta quella storiella che ho sentito una volta da un missionario che veniva dalla Cina.

E’ la risposta intelligente di quel ragazzino cinese al quale il missionario, dopo tanti incontri di catechismo, aveva chiesto di spiegargli cosa avesse capito del paradiso e dell’inferno.

L’inferno, cominciò sicuro di se il ragazzino, è un lunghissima tavola imbandita, nella quale, da una parte e dall’altra, seduti l’uno di fronte all’altro, stanno i dannati.

Al centro della tavola, per tutta la sua lunghezza, ci sono fumanti scodelle di ottimo riso.

L’uno di fronte all’altro quei poveretti attendono un cenno del diavoletto pronti ad immergere il cucchiaio nella scodella, e finalmente, cominciare a mangiare…

Al segnale, un urlo di “Buon appetito”, tutti si precipitano sul riso…, ma c’è un grosso inconveniente.

I cucchiai, di cui sono forniti, hanno il manico lungo un metro.

Così l’impugnatura del cucchiaio è lontana dal riso. Ed ecco il disastro. Nessuno di quei poveretti riesce a portare il cibo alla bocca, ma, urlando e imprecando, lo rovescia sul vicino, scottandolo, sporcandolo, mentre a sua volta viene sporcato e imbrattato e impiastricciato di riso.

Esattamente un inferno!

Che termina al segnale del diavoletto: tutti smettono avviliti, in attesa del prossimo permesso, sempre più morti di fame, ma tutto si ripete e va avanti così, all’infinito.

E il Paradiso? Chiede a questo punto il missionario aspettandosi chissà quale ristorante a cinque stelle…

Il Paradiso, risponde il cinesino (e forse qui qualcuno immagina la finale), è. come l’inferno: una lunghissima tavola imbandita, ai lati del quale stanno felici e ben pasciuti i beati, che attendono di mangiare davanti a fumanti scodelle di ottimo riso.

Tranquilli, sereni, col cucchiaio in mano, un cucchiaio dal lungo manico perfettamente uguale a quello usato all’inferno, attendono il suono del campanellino dell’angelo per cominciate a mangiare.

Dato il segnale, ognuno di loro immerge il cucchiaio nello stesso riso, e, col migliore dei sorrisi, lo offre al commensale che gli sta di fronte il quale fa la stessa cosa con lui…

E così tutti mangiano, felici e contenti.

Io non so se la storiella è vera, ma è certamente bene inventata.

E ci fa intuire da dove derivano tutti i guai, anche quelli di questi giorni, i fallimenti, le borse che crollano, le economie che falliscono, una specie di inferno nel quale, alla fine i poveri ci andranno di mezzo mentre i furbi resteranno a galla. Per questo siamo qui.

Per imparare a costruire fin d’adesso questo Regno di Dio.

Anche questa Eucaristia, infatti, è un banchetto, al quale siamo venuti con gioia.

Siamo venuti per essere messi al corrente dei progetti di Dio, per avere da Lui la forza di realizzarli, per sperimentare quanto è bello costruire paradisi nella vita piuttosto che inferni.

Senza questa tensione, senza questo desiderio, anche qui saremmo fuori posto.

Saremmo qui senza la veste nuziale, senza, cioè quell’atteggiamento di gioia per essere stati invitati da Lui e di speranza per il futuro che in ogni momento della nostra vita dobbiamo costruire.

Noi siamo quelli che stamattina, hanno lasciato il loro campo e i loro affari (una dormita più lunga, la casa da riordinare, la passeggiata con il cane o con gli amici, il footing, la gita al mare o ai monti…) per accettare l’invito al banchetto.

Se la nostra messa, e, soprattutto la nostra vita, non manifesta questa gioia di aver raccolto l’invito, stiamo attenti: potremmo avere dimenticato l’abito nuziale.

Preghiamo insieme, ringraziando il Padre perché ci ha invitati, e soprattutto aiutiamolo a realizzare il suo regno.

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