Rallegratevi sempre nel Signore

13 Dicembre 2009 Nessun Commento     

Abbiamo cominciato questa celebrazione con un canto di gioia.
Sarebbe bello se, a poco a poco, già fin dall’inizio cantassimo tutti.
Il canto ci fa uscire dal nostro isolamento, mette fuori la voce ed insieme alla voce i sentimenti… ci avvicina, contribuisce a riscaldare l’ambiente, crea un clima di fraternità e di festa… per rendere gioiosamente grazie a Dio.

Ed è una cosa importante, perché tutto ciò che facciamo qui, che avviene qui non dipende solo dal prete, ma da ognuno di noi, dal contributo affettivo e concreto che ognuno di noi offre per coinvolgere tutti gli altri…
Un primo motivo di gioia nasce dalla certezza di essere accolti da Dio, di essere amati al di là dei nostri peccati.
Esprimiamo tutto questo nella comune preghiera.


LETTURE

Rallegrati! Non lasciarti cadere le braccia, il Signore è in mezzo a te!
Su questo messaggio si apre la scrittura che oggi proclameremo.
Un messaggio che dal profeta Sofonia, attraversa la lettera di Paolo, fino a diventare molto concreto, nelle parole di Giovanni Battista.
Cercheremo di farne tesoro per la nostra vita.

OMELIA

Ai sentimenti non si comanda. A tutti i sentimenti.
E se c’è un sentimento al quale non si può comandare è la gioia perché esprime il nostro modo di essere, la nostra condizione interiore…
Se ci guardiamo dentro se guardiamo la realtà che ci circonda vicina e lontana, se pensiamo alle tante persone che conosciamo, se ricordiamo tutti quelli ai quali passiamo accanto, ogni giorno e dei quali intuiamo l’affanno, spontaneamente nasce dentro di noi la domanda: “C’è gioia nella mia vita? Vedo gioia in quella degli altri?”
Quando ci si incontra, abbiamo paura di chiedere: “Come va?”, perché generalmente se al vostro interlocutore è capitata una cosa buona e una cattiva, comincia col raccontarti quella cattiva.
Con i problemi che ci opprimono, con tutto quello che ci casca addosso, la gioia sembra un prodotto difficile da trovare.
Prima di tentare una risposta che renda credibile questa Parola di Dio, questo invito alla gioia dobbiamo fare qualche premessa.
Anzitutto il cristiano, al quale la Parola di Dio chiede di rallegrarsi, non è un deficiente, non è lo scemo del villaggio, che gli casca il mondo addosso e lui continua a ridere, che non percepisce nessun problema perché non si interessa di nulla.

Se parliamo della gioia del cristiano, ci riferiamo alla gioia di donne e di uomini immersi nel mondo e nella vita, incarnati come Cristo nella storia, che vivono in pieno la loro esperienza umana, che non evadono dalla realtà facendo della religione un rifugio.
Il cristiano sa bene che la fede non lo protegge dai mali della propria vita, né da ricette miracolose per risolvere, tutti e subito, i mali del mondo.
Ma, prima di attingere il piano della fede, attestiamoci un momento sul piano umano.
Siamo noi a scegliere i colori della nostra vita.
C’è chi dipinge continuamente le pareti della sua camera di nero e poi dice: “Che buio! Non si vede nulla”.
C’è chi usa altri colori e la stanza gli appare più luminosa.
Spesso ci cascano la braccia perché guardiamo le cose con gli occhiali scuri.

Se cambiassimo le lenti, forse andrebbe un po’ meglio…
Ma la gioia cristiana, quella di cui oggi parla oggi la Parola di Dio, va al di là del nostro carattere, del nostro essere naturalmente più o meno ottimisti davanti alla vita.
La gioia cristiana è profonda come l’oceano le cui acque rimangono calme anche quando in superficie c’è la tempesta.
Perché la gioia del cristiano nasce dalla consapevolezza della vicinanza di Dio.
La gioia cristiana deriva dalla convinzione profonda di essere amati da Dio; dalla certezza che la nostra vita è nelle sue mani; per questo anche se tutto va male, non andrà mai male tutto…
E’ una gioia che non elimina la sofferenza, lo sforzo, ma che non conosce la noia cronica, la paura, l’angoscia e la disperazione…
E’ la sicurezza di essere salvati.
Ma questa gioia non rimane un puro fatto interiore, consolatorio, spirituale; ha un risvolto esterno, storico, concreto.
“Non lasciarti cadere le braccia!”
Ricordate Bennato? Certe canzoni oggi non si cantano più, purtroppo.
“Non lasciarti cadere le braccia, corri forte, più forte che puoi, non arrenderti né ora, né mai…Quando dici di volerti fermare, guarda… altri sta ancora correndo!
Ecco: gli altri.
Per un cristiano gli altri non sono solo motivo di delusione, di affanno, di sofferenza, di tormento.
Dovrebbero anche essere motivo di coraggio.
E’ questo il valore della comunità.
Io, in questo momento, mi trovo accanto uomini e donne come me, immersi nei guai come me, che si prendono per meno e cantano con me, e ritrovo la forza per cantare anch’io.

Federico Nietzsche, quel filosofo tedesco di fine Ottocento, ateo e a ragione, perché il dio che gli era stato presentato era il dio della rinunzia, della piccineria mentale, delle paure, delle angosce, della negazione degli aspetti più umani della vita, il dio che godeva della sofferenza degli uomini, Nietzsche, parlando dei cristiani, diceva “Vorrei che mi cantassero canti migliori perché possa credere al loro Salvatore. Non fanno al loro Cristo buona propaganda con le facce che hanno… Dovrebbero avere un’aria più… salvata!”
Ecco perché anche una celebrazione eucaristica può diventare la spinta per non lasciarsi cadere le braccia, per avere coraggio.
Perché ci trovo Cristo e il suo coraggio di morire per me; perché ci trovo gli altri e sono contagiato dalla loro determinazione di seguire la sua strada…
Sono le indicazioni di Giovanni Battista.
Che cosa dobbiamo fare?
Non lasciarti cadere le braccia nel realizzare la giustizia, la condivisione, la solidarietà.
Ma non è questo il Vangelo.
Il Vangelo, lo dicevamo venerdì sera, non è una morale.
La lotta per la giustizia e la solidarietà è dovere di ogni uomo vero e onesto. L’amore del prossimo sta ancora nell’ordine naturale delle cose. E’ presupposto dal Vangelo, ma il Vangelo è qualcosa di più.
Probabilmente un mondo giusto, un mondo che vive nell’abbondanza potrebbe non essere capace di spremere una goccia di gioia!
C’è certamente tanta tristezza davanti ad una tavola vuota. Ma ne ho vista altrettanta davanti a una tavola riccamente imbandita!
La gioia del Vangelo è il Battesimo nello Spirito; è l’immersione nella famiglia di Dio, è la nostra identificazione con Cristo.
La gioia del Vangelo non nasce da ciò che faccio, ma dalla consapevolezza che ciò che faccio lo faccio insieme a Lui.
La gioia del Vangelo nasce dalla certezza che, se pure nel breve arco della mia vita non vedo risultati, il mio sforzo non andrà perduto.
Ed è questo il Vangelo, la buona notizia che dobbiamo annunziare agli uomini di buona volontà.
Ricordate quella storiella che forse altre volte abbiamo raccontato?

In una grande vallata c’erano tanti uomini stanchi ed oppressi da un duro lavoro: portavano enormi pietre sulle spalle.
Ma, stranamente, pur essendo tutti nellel stesse condizioni, alcuni fra loro piangevano, altri sembravano contenti.
Mi avvicinai ad uno che piangeva, piegato in due sotto il peso immane: “Che fai? – gli chiesi. “Non lo vedi? Trasporto pietre” -mi rispose.
Mi accostai ad una altro, che pur curvo sotto il peso, sembrava non sentisse ,lo sforzo e sorrideva. “E tu, che fai?” E lui, guardando la collina, la meta cui doveva giungere con quel grande sasso sulle spalle:”Io -disse- costruisco una cattedrale”.
Preghiamo il Padre di non fare mancare mai questa gioia dal nostro cuore e dalla nostra vita.

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