Eccomi, manda me!

7 Febbraio 2010 Nessun Commento     

Con gioia ci ritroviamo insieme in “chiesa”; “con gioia”, non solo perché è bello rivedersi fraternamente per celebrare la presenza di Dio nella nostra vita, ma perché sappiamo, sperimentiamo che la chiesa non è un luogo, un edificio di culto, un tempio sacro; la chiesa siamo noi, noi tutti qui convocati, chiamati da Dio.
E’ proprio questo il significato di “ecclesia”, cioè di “chiesa”: assemblea di chiamati.
Dio, nostro Padre ci vuole coinvolgere, nei suoi progetti, nelle sue aspettative, nelle sue preoccupazioni.
Proprio me, ci viene di dire? Proprio noi? Così incapaci, così peccatori?

Sì, proprio noi, perché solo a chi prende coscienza dei suoi peccati può essere rivolto l’invito di Dio.
Con questi sentimenti, nell’attesa che Egli ci parli, chiediamogli perdono…

LETTURE

Tre esperienze, tre uomini diversi, una sola risposta: il sì generoso alla chiamata di Dio.
“Eccomi, manda me!” è la risposta di Isaia, di Paolo e di Pietro al quale Cristo affida il compito di “pescare gli uomini”.
Dio chiama anche noi? Quando? Come? In quale atteggiamento dobbiamo trovarci per accogliere la voce Dio? Ma, a quale scopo Dio ci chiama? A far che? Cosa vuol dire “sarai pescatore di uomini?
Ascoltiamo la Parola di Dio sulla scorta di queste domande. In essa troveremo le risposte.

OMELIA

Disastro di Livorno…
Frana di Giampilieri…
Crollo di Favara…
Davanti a ogni disgrazia, che viene definita sempre come “annunciata”, la magistratura apre un’inchiesta…; se ci badate è il ritornello con cui si conclude sempre la notizia sui telegiornali.
Inchieste aperte e mai… chiuse.
Frasi come “non mi compete”, non tocca a me”, non mi riguarda”, non è colpa mia”, indicano molto spesso il totale menefreghismo dei responsabili dai livelli più bassi, fino ai più alti strati della gerarchia sociale.
E’ un atteggiamento è gravemente dannoso.
Nessuna società, nessun gruppo di persone, alla lunga regge se ognuno dei suoi componenti non è in grado di sacrificare al bene comune qualcosa del suo interesse particolare…”
E’ la mentalità corrente…
Di diverso tono è il messaggio che ci viene oggi dalla Bibbia: davanti alla chiamata di Dio Pietro, di Paolo, di Isaia rispondono: “Eccomi, manda me!”
La vita è già una “chiamata”.
Perché non si può veramente chiamare donna, non si può veramente chiamare “uomo”, quell’essere umano che non percepisce il dono della vita come un’appello, che lo spinga all’apertura, al coinvolgimento, all’interessamento verso la realtà che lo circonda…
Una percezione che la scelta cristiana esalta, perché il cristiano sa leggere, nella apertura verso l’altro la stessa vocazione di Cristo, uomo perfetto secondo il cuore di Dio.
La stessa parola “vocazione” è stata spesso usata, per indicare qualcosa riguardante i preti e le monache, come la parola missione è stata adoperata solo per i missionari…

Preti e monache, missionari e religiosi, sarebbero chiamati, vocati, attivi; tutti gli altri, esecutori, sudditi, passivi…
Da un lato, i pastori, chiamati da Dio, (ho sentito così commentare qualche volta questo brano di Vangelo) che hanno il compito di salvare, attraverso i sacramenti, di ammaestrare attraverso il magistero, di governare, attraverso la sacra gerarchia.
Noi, pastori i pescatori, voi i pesci. Non vogliamo dire che dovete abboccare all’amo, ma il nostro compito è quello di farvi salire sulla barca, perché vi affidiate con fiducia al capitano, per essere sbarcati, a fine corsa, sani e salvi, nel regno dei cieli.
Nasce da qui il “clericalismo”, quella mentalità secondo la quale la chiesa è affare dei preti, tutta gestita da loro, agli alti, ai medi e ai bassi livelli, e che il compito del cristiano è quello di andare a messa, di ricevere, più o meno a pagamento i sacramenti, e di farsi il più possibile gli affari suoi…

Nelle intenzioni di Dio non è così.
La “vocazione”, la “missione” fanno parte della esperienza di chiunque voglia seguire Cristo, di chiunque scopre che il dono della vita si moltiplica, si ingigantisce, si riempie di significato, se si apre, se si dona, se si riempie dell’amore dell’altro…
Essere cristiano, coincide perfettamente con l’“essere chiamato”.
A quali condizioni?
A quale scopo Dio ci chiama?
Quando ci chiama?
Cosa ci attende se rispondiamo di “sì”?
La condizione preliminare per ricevere l’invito di Dio è, paradossalmente, quella di non sentirsi persone per bene, ma peccatori, intendendo per “persona per bene” quella che “non ha mai fatto male a nessuno”, “si è fatta sempre gli affari suoi”, non si sente responsabile di nulla”, perché nulla gli “compete”…
Chi è cosciente della sua condizione di “peccatore” invece non si limita a dire “io non c’entro, non mi interessa, non tocca a me…” ma possiede acuta la coscienza delle sue responsabilità, dei suoi peccati, delle sue omissioni…
Perché il nostro peccato fondamentale, quello che ci portiamo sempre dietro, quello che non ci confessiamo mai, quello dal quale nessun prete può assolverci, quello il cui perdono dipende solo dalla misericordia e dall’amore di Dio, non consiste nel male che facciamo, ma nel bene che ci siamo lasciati sfuggire dalle mani…
La coscienza di questo peccato non causa sensi di colpa, rimorsi e piagnistei, suscita invece il desiderio di fare meglio. Non è freno, ma stimolo; non è una palla al piede, ma una marcia in più!

Questo peccato è la distanza che intercorre fra noi e le esigenze del vangelo, una distanza che Dio mi aiuta a colmare, chiamandomi appunto a collaborare con Lui.
Senza la coscienza di questo vuoto di questo “peccato” non è possibile riempirsi di Dio. Chi è contento e soddisfatto di sé, non muove nemmeno un dito… Ha già fatto tutto. Cosa può fare di più? Forse è questo il significato di quelle parole di Cristo: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori…”
Pietro:“Allontanati da me! Sono un peccatore!” E Cristo, di rimando: “D’ora in poi sarai pescatore di uomini”.
Ma cosa vuol dire “pescare gli uomini?”
Nella mentalità orientale l’acqua, il mare erano considerati come l’abitazione delle forze opposte a Dio.
Come Dio abita nell’alto dei cieli, così le forze opposte a Dio, le forze del male abitano nel luogo più lontano da Lui: le profondità degli abissi.
Il mare è uguale al male.
Pescare gli uomini non vuol dire farli abboccare all’amo; significa liberarli dal male, da tutte quelle situazioni nella quali il mare, il male inghiotte l’uomo lo trascina nell’abisso, lo allontana da Dio, distrugge in lui la possibilità di essere se stesso, la sua dignità di uomo, la sua vita.
Pescare gli uomini vuol dire salvarli.
E per salvarli non è necessario intrappolarli in una religione, in un culto, ma semplicemente mostrare loro l’amore di Dio, come ha fatto Cristo e con la consapevolezza che ne condivideremo la sorte.
E la sorte di Cristo è la Risurrezione, la pienezza di una vita densa di significato.
Certo: la meta finale passa attraverso la croce. Ma il cristianesimo non è sadismo. La meta finale non è la croce; la croce è il passaggio, è l’accettazione della vita con le sue responsabilità, è il compito di diventare adulti anche nella fede.
Un cristianesimo che ci lascia sudditi e infantili non è degno di Dio.
Pensavo, e finisco, a tutto questo venerdì sera, guardando, da una emittente televisiva locale, la processione di Sant’Agata.
Tutti, telecronisti, preti esperti, telecommentatori, sprecavano le parole per magnificare la fede dei catanesi.
Fantasticando pensavo: Se il vescovo, dall’alto del fercolo bloccasse tutto e dicesse: “Chi vuol venire dietro la santa che si è fatta ammazzare per Cristo, scarichi le spalle dalla candelora, metta giù il cero, non chieda grazie per sé, si carichi sulle spalle la croce…che discorso anacronistico, folle, fuori posto sarebbe stato.
Il vescovo avrebbe distinto chiaramente fra devozione e fede.
Perché la devozione, è l’atteggiamento di chi va dal santo a chiedere qualcosa per sé.

La fede è la risposta alla chiamata di Dio che mi chiama a fare qualcosa per gli altri.
Tutti devoti… tutti… E’ proprio vero!
Chissà quando si potrà dire: “Tutti cristiani, tutti…e veramente cittadini, non sudditi di Dio e dei santi, ai quali si chiedono le grazie, e dei politici, ai quali si chiedono i favori…
Cristiani perché pronti a rispondere alla chiamata che ci viene continuamente dalla vita.
Perché la vita stessa è un continuo appello.
Ti chiamano le persone che ti ritrovi accanto ogni giorno a casa tua, ti chiamano i poveri, gli ammalati, gli afflitti, ti chiama chi ha bisogno di conforto e solidarietà; ti chiamano i tuoi familiari, ti chiamano gli estranei, ti chiama la realtà che ti circonda, ti chiama la comunità cristiana alla quale appartieni, ti chiamano i problemi sociali e le realtà politiche che imbastardiscono sempre di più senza la partecipazione cosciente e informata dei cittadini.
Non tocca a me!
E’ l’atteggiamento esattamente opposto a quello che ci viene suggerito oggi dalla parola di Dio.
Eccomi, vado io!
Speriamo che Dio, che ha deciso di aver bisogno degli uomini trovi anche in mezzo a noi qualcuno che sia disposto a dire: “Eccomi, manda me!!”
Per questo, preghiamo
!

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