La nostra patria è nei cieli (?)

28 Febbraio 2010 Nessun Commento     

Insieme, tenendoci tutti per mano, fratelli e sorelle, donne e uomini, continuiamo il nostro cammino quaresimale, verso la celebrazione della Pasqua del Signore.
“La nostra patria è nei cieli”, ci dirà Paolo nella seconda lettura, ma i nostri piedi, la nostra vita, il nostro impegno sono ben piantati sulla terra, in mezzo agli uomini, di cui condividiamo dolori e speranze.
Un segno di questa speranza è certamente la nostra presenza qui, una presenza non rituale, ma voluta, cosciente, libera, gioiosa, perché noi sappiamo che in mezzo a noi è presente Dio, che vuole farsi compagno della nostra vita, vuole allearsi con noi.
Tutte le volte che noi, ci pigliamo per mano con qualcuno testimoniamo questa presenza fedele di Dio nella nostra vita.
Per questo rivolgiamoci a un Dio presente vicino, non distratto e lontano, perdoniamoci e preghiamo insieme.

LETTURE

Dio chiama un uomo, Abramo, per allearsi con lui.
Così Egli si rivela, si manifesta: ci fa capire che non vuole dominarci l’uomo dall’alto, ma farsi nostro compagno nel cammino della sua vita…
Questa prima e antica alleanza ai realizza pienamente in Cristo, il primo uomo totalmente alleato con Dio, e in tutti coloro che – è questa la sintesi della seconda lettura e del vangelo – sanno ripetere con coraggio la sua esperienza nella loro vita.

OMELIA

Non c’è nel testo. Il punto interrogativo che sta alla fine della frase che sintetizza oggi il tema della nostra riflessione; l’abbiamo aggiunto solo per fare sorgere una domanda, per porre un problema, per non concedere come scontata qualcosa che, se abbiamo una coscienza cristiana sveglia e critica, non può passarci tranquillamente sulla testa.
“La nostra patria è nei cieli…”
Questa affermazione di Paolo è equivoca; perché, così come suona, sembra dar ragione a quanti pensano che la fede sia una evasione dalla terra, dal mondo, nel quale bisogna camminare stando attenti a non inzaccherarsi i piedi, per raggiungere, magari il più tardi possibile, la patria, il cielo.
Così l’avevo sempre letta anch’io e non potevo darmi pace, perché pensavo quanto fosse strano un Dio che viene ad abitare, qui, sulla terra in mezzo a noi, che vive la nostra vita, che soffre i nostri dolori, che gode le nostre gioie, mentre noi, suoi seguaci, dobbiamo avere la nostra testa da un’altra parte.
Poi, a furia di cercare, ho capito.
La parola usata da Paolo non è “patria”; è un’altra parola che nella lingua originaria, il greco, significa tutta un’altra cosa.
Politeuma è la parola usata da Paolo. Che non significa patria, ma costituzione, governo, leggi, istituzioni, costumi, tutto ciò insomma che regola la vita di una comunità civile.
I Filippesi, infatti, gli abitanti, i cittadini di Filippi, forse perché ex sudditi del famoso padre il re Filippo di Macedonia, e del non meno famoso figlio Alessandro Magno, erano sottratti alla giurisdizione della loro provincia, la Macedonia, ed il loro ”politeuma”, la loro forma di governo, la loro legge era diversa da quella di tutte le città vicine; per speciale privilegio era la stessa di quella di Roma; la loro convivenza cioè, veniva regolata, determinata, dalle norme, dalle leggi romane, e, di questo, erano fieri.

Paolo gioca su questo fatto, utilizza il gioco di parole, ed afferma che, se come filippesi dovevano andar fieri di aver la cittadinanza romana, come cristiani dovevano essere ancora più fieri: perché il loro politeuma non derivava da Roma , ma più da più in alto, dai cieli, da Dio.
La loro esistenza, pertanto, la loro vita sulla terra si sarebbe di conseguenza dovuta modellare su Dio, la loro convivenza seguiva le regole del regno dei cieli, del Regno di Dio.
Se le cose stanno così, questo riferimento alla patria celeste non conduce alla separazione, all’isolamento, al rifiuto del mondo e della storia, alla aspirazione nostalgica del cielo che noi, pellegrini, in esilio sulla terra, gementi e piangenti in questa valle di lagrime desideriamo, ma all’alleanza con quel Dio che per mezzo nostro, alleato con noi, vuole intervenire nella storia.
E ciò non perché sulla terra non ci siano lagrime, ma perché il nostro compito è quello di asciugarle, qui, non aspettando il futuro, ma anticipandolo il futuro nel presente, trasfigurando questa realtà alla luce della Risurrezione.
Per questo Dio ci invita ad allearci con Lui.
La stessa parola “Testamento”, nuovo o vecchio che sia, altro non vuol dire se non “patto”, “alleanza”…
Antica, come quella di Abramo, e di Mosé, di Elia, nuova come quella di Cristo, sancita non nel sangue di capri o tori, pecore o arieti, ma consacrata dal suo sangue, dalla sua vita, dalla sua croce, della quale Paolo ci esorta a non essere nemici.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che questo patto, questo rapporto personale con Dio, questo condividere con Lui progetti e speranze non è indolore, ma passa attraverso la croce.
Un richiamo pericoloso, perché può esaurirsi nell’inutile masochismo, nella ricerca compiacente del dolore, o può invece spingerci ad essere alleati con Dio fino in fondo, ad amare fino in fondo, nella consapevolezza che il tunnel dell’impegno è la via attraverso la quale ci apparirà, alla fine, la gloria del volto di Dio.
Ecco il senso della Trasfigurazione.
Un episodio che Luca, non a caso, ha inserito a questo punto del suo vangelo.
Cristo, infatti, aveva fatto, otto giorni prima dice Luca ai suoi discepoli, dei discorsi molto strani: Il Figlio dell’uomo dovrà soffrire…Bisogna prender la propria croce se vogliamo andargli dietro… non bisogna vergognarsi di lui…..
Essi erano rimasti perplessi, sconcertati. Non era questo il messia che sì aspettavano, al cui seguito erano andati.
Un messia sconfitto e crocifisso non era il massimo.
Ecco perché otto giorni dopo, (interessante questo particolare degli otto giorni, non dimenticatelo, ci ritorneremo) egli a tre dei discepoli più rappresentativi fa intravedere quella “resurrezione” della quale non comprendevano il significato.
Sospende per un attimo il velo della umanità per far scorgere ciò che egli era veramente, il risultato finale del suo cammino.
Maestro, è bello per noi stare qui.
E l’evangelista aggiunge: “Pietro non sapeva che cosa stava dicendo”.
Non sapeva quello che diceva, perché era necessario scendere dalla montagna, tornare indietro, rifare tante volte i sette giorni prima dell’ottavo, non parlare con nessuno di ciò che avevano visto perché il cristiano la speranza non la sbandiera ai quattro venti ma la porta nel cuore.
Tornare nella pianura della vita per trasfigurare tutta la realtà , per far apparire, dietro l’opacità del male, dietro l’incongruenza della vita, dietro l’apparenza dei fallimenti, le certezze della promessa di Dio.
E poi all’ottavo giorno, tornare…
Se ci pensate, è ciò che ogni settimana, quando celebriamo durante la messa, nel corso della quale viene trasfigurata la stessa realtà con la quale siamo quotidianamente a contatto.
La nostra vita è immersa nella indifferenza e nella ostilità ma qui trasfigurata dal perdono, è immersa nella lotta e qui viene trasfigurata dalla pace, è immersa nell’egoismo e ora viene trasfigurata dalla condivisione, è, a volte immersa nella tristezza e qui viene trasfigurata dalla gioia.
E’ bello per noi stare qui!
Ma noi siamo chiamati a scendere dal monte per portare questa trasfigurazione nella vita.
Nella nostra vita quotidiana, nella vita della nostra terra che ha certamente un enorme bisogno di essere “trasfigurata”, di essere cambiata.
Lo dice un recentissimo documento dei vescovi italiani del quale certamente in questi giorni avete sentito parlare.
“Per un paese solidale. Chiesa e Mezzogiorno”.
Dopo tanti anni di collateralismo, di appoggio indiretto alla cattiva politica anche da parte della chiesa per ottenerne benefici finalmente una parola chiara di rinnovamento nell’atteggiamento dei cristiani e della chiesa.
Bisognerebbe tradurre in linguaggio più chiaro il modo di parlare curiale scritto nel documento e, soprattutto, bisognerebbe far seguire azioni concrete alle parole.
Si parla di necessità di solidarietà nazionale… traduciamo: ognuno pensa agli affari suoi, a rubare al meglio…
Critica coraggiosa delle deficienze… dovremmo dire: davanti agli scandali, agli imbrogli, alla corruzione, al fatto che con i soldi di tutti c’è un sistema che si arricchisce per conto suo… bisogna denunciare e ribellarsi.
Necessità di far crescere il senso civico… dobbiamo sottolineare la dimensione politica degli impegni del c ristiano…
Davanti alla urgenza di superarre le deficienze… dobbiamo dire che i politici che ci governano fanno pena…
Penso che su questi temi torneremo in qualche modo.
Intanto preghiamo perché, anche oggi, possiamo uscire da questa messa con la speranza della trasfigurazione nel cuore.

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