Mangiamo e facciamo festa

14 Marzo 2010 Nessun Commento     

Il gesto più bello che possiamo fare, prima di partecipare a questa festa, a questo banchetto, perché venire a messa vuol dire venire a una festa, essere invitati da Dio ad un pranzo, ad un banchetto, è quello della sincera accoglienza reciproca.
Essere contenti di ritrovarci nella casa del Padre. Guardarci attorno e scoprire che è bello ritrovarsi insieme.
Ed è su questo atteggiamento umano, indispensabile, che può nascere la gioia cristiana del perdono, un perdono che abbiamo il coraggio di chiedere a Dio perché siamo disposti a darlo ai fratelli

PREGHIAMO

O Dio, Padre buono e grande nell’amore, che accogli le tue braccia tutti figli che tornano a te, concedi a noi di accogliere con la grandezza del tuo cuore i nostri fratelli.

LETTURE

Il nostro Dio, il Dio di cui ci parla Cristo, è un Dio che da la libertà, anche quella di sbagliare, è un Dio che sa attendere, che sa accogliere, che fa festa quando torniamo da Lui.
Questo Dio rivela la sua onnipotenza non quando punisce e condanna ma quando ama e perdona, quando riabilita e ricostruisce.
Tutto questo si intravede nella prima lettura, piglia forma nelle parole di Paolo ed esplode nella stupenda pagina del vangelo di Luca.
Mai forse, come oggi, sarà necessario ascoltare con amorosa attenzione questa Parola di Dio!

OMELIA

Perché parlare oggi, dopo quello che abbiamo ascoltato?
Non sarebbe meglio, eliminare le parole, e, nel silenzio, dar libero corso ai pensieri, ai sentimenti, alle emozioni che certamente ognuno di noi sente fluttuare dentro di se pensando alla propria vita, alla propria esperienza, ai suoi peccati?
Certo, se siamo buoni, se siamo bravi, se siamo troppo buoni, se siamo molto bravi, se non abbiamo sbagliato mai, se non abbiamo nulla da farci perdonare, ci riuscirà un po’ difficile commuoverci davanti a questo Padre che corre incontro al figlio e, senza nemmeno dargli il tempo di parlare, lo abbracciandolo, e fa festa…
Se siamo troppo buoni, istintivamente condivideremo il risentimento acido del fratello maggiore, bravo, lavoratore, onesto e… arido, convinto, a torto, di poter continuare ad essere figlio, senza essere fratello, convinto di essere a casa da suo Padre, ma in realtà fuori dal suo cuore.
Probabilmente è lui, questo figlio che non ha mai sbagliato, il figlio che ha bisogno di convertirsi, di entrare nella logica di Dio che non è quella razionale della ricompensa ma quella scandalosa dell’amore.

Ma… se qualche volta ci è capitato di agire da persone poco rispettabili, se ci è capitato di sbagliare, se qualche volta abbiamo sentito il bisogno di essere accolti senza riserve, di essere capiti prima di essere giudicati, possiamo intuire le intenzioni di Cristo.

Perché, al di là dei particolari, anche molto belli della parabola, non è tanto del figlio sperperatore che Cristo vuole parlare ma del Padre misericordioso.

Come se dicesse: L’importante non è che voi crediate in Dio, l’importante è sapere in quale Dio credete.
Credi in un Dio che aspetta l’occasione per punirti o in un Dio che cerca lo spiraglio per perdonarti?

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.
Potremmo dire: Dimmi che Dio hai e ti dirò chi sei.
Perché la religione può essere pericolosa.
Se un ateo commette gravi errori, posso sempre, appellandomi alla sua ragione, convincerlo che sta sbagliando…
Ma se uno, perpetra convinto, delitti in nome di Dio, come si può discutere con Lui?
Carlo magno credeva in Dio, si considerava il suo difensore ufficiale, e faceva tagliare la testa a quei popoli vinti che rifiutavano il battesimo

Pietro l’eremita, grande santo, e il papa Urbano II, qualche secolo dopo, credevano in Dio e nel suo nome si inventarono le crociate e spinsero migliaia di uomini ad uccidere altri uomini che, dalla parte opposta, e in nome dello stesso Dio, facevano altrettanto.
Lutero, nel 1523, in nome di Dio, fece trucidare migliaia di contadini, e sant’Ignazio di Loyola, nel nome di Dio, era fermamente convinto che gli eretici andassero bruciati…
I conquistatori spagnoli, sudditi del cattolicissimo re di Spagna, per convertire gli indios delle nuove terre scoperte ne sterminarono la maggior parte…
In nome di Dio si possono fare cose terribili, si può uccidere, torturare, terrorizzare, giudicare, condannare, dividere, separare…

Sta capitando in Nigeria dove cristiani e musulmani si uccidono a vicenda
Il Dio di Cristo, invece, è padre di tutti, non può dividere gli uomini per nessun motivo, né può permettere che la croce segno di sacrificio, di solidarietà, di amore, venga usata come simbolo per far guerra o per difendere interesse di parte o di partito.
E’ Padre.
Ma attenzione!
Quando diciamo che Dio è Padre non dobbiamo pensare a noi, come se Egli si modellasse sul nostro modo di essere madri o padri.
Al contrario: è il nostro modo di essere padri e madri che deve essere ricalcato su di Lui.
Le nostre cronache spesso riportano gravi violenze anche all’interno della famiglia.
Spesso ne pagano le spese donne e bambini.

Chi l’ha detto che in una famiglia è “naturale” volersi bene?
Per questo il nostro modo di essere padri e madri, figli e fratelli ha bisogno di confrontarsi, di rapportarsi a Cristo che è il Figlio ed alla paternità di Dio.
Perché Dio è padre senza essere paternalista, protettivo e “accupusu”, da la libertà di sbagliare, la da con il cuore piccolo piccolo, come ogni padre e madre che si rispetti, ma la da, perché per lui dare libertà non vuol dire abbandonare al proprio destino, ma attendere, e non con un attesa qualunque, ma con quella attesa che ogni mattina, ogni sera, ogni momento, scruta il sentiero davanti alla porta di casa per vedere se tu torni, e quando ti vede tornare per primo corre ad abbracciarti. E non ti dice: “Hai visto come ti si ridotto! Ben ti sta!! Te l’avevo detto! Ma senza lasciarti nemmeno dire il discorsetto che ti sei preparato ti getta le braccia al collo e fa festa.

Fa festa!
Penso, aprendo una breve parentesi, al gesto della riconciliazione, della confessione che, nella chiesa, nella comunità cristiana, è stato spesso collegato a questa pagina di vangelo.

Come diventa alla volte veloce, sbrigativa, giuridica, o peggio, traumatica, inquisitoria, priva di quel calore umano che è proprio del cuore di Dio.
Non di rado questo sacramento, particolarmente per le persone più sensibili, è un trauma. Che cosa devo dire? Da dove debbo cominciare? Chissà cosa penserà di me? E se dimentico qualcosa?
Anche noi preti, spesso siamo burocratici, freddi, sbrigativi.

Prima domanda: “Da quanto tempo non si confessa?” Una domanda che è già un rimprovero. E poi un interrogatorio di terzo grado per definire ogni peccato nel suo genere, nel suo numero, nelle sue circostanze, perfino nei minimi particolari.
Non è giusto tutto questo.
Il Padre della parabola non lo ha fatto.
Spesso da questo gesto è assente l’accoglienza, il calore umano, il rispetto per chi è confuso dai suoi peccati, ma soprattutto è assente la festa.
Abbiamo trasformato la gioia della festa, la gioia di un banchetto in un aula di giustizia, (non c’è nulla di più triste di un tribunale) e lo abbiamo chiamato “tribunale della penitenza”.
Nel vangelo invece ogni volta che si parla di conversione, di perdono, di riconciliazione, si mette in luce la gioia di Dio.

La pecorella smarrita e la gioia del pastore che la salva, la moneta perduta e la gioia della donna che la ritrova.
Dobbiamo recuperare all’interno della comunità cristiana la gioia del perdono che è la gioia di Dio.
Dobbiamo credere alla paternità di Dio. Dobbiamo rassomigliare al padre, se siamo suoi figli, se come Cristo siamo creature nuove.
E ciò avviene ogni volta che anche noi diamo libertà, accogliamo, perdoniamo.
Ciò avviene ogni volta che diventiamo Padri e madri per chi ci sta vicino, ciò avviene ogni volta che la nostra presenza risveglia qualcuno, lo fa diventare sensibile, aperto a cose che senza di noi non avrebbe mai conosciuto.
Ciò avviene ogni volta che speriamo l’impossibile, ogni volta che crediamo, impegnando la nostra vita, al cambiamento delle persone, della realtà, della società, della politica, della storia.
Ciò avviene ogni volta che crediamo non in Dio onnipotente ma nella onnipotenza dell’amore di Dio.
Facciamo scendere queste parole nella nostra vita e chiediamo al Padre la forza per realizzarle.

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