Bisogna pregare sempre senza stancarsi mai

17 Ottobre 2010 Nessun Commento     

Ogni assemblea cristiana è un segno di pace e di riconciliazione.
Dovrebbe essere questo un momento nel quale con maggiore facilità, con una volontà più piena e disponibile, riusciamo a pensare a Dio come al Padre di tutti, non solo come il protettore della nostra vita privata, e agli altri uomini come fratelli con cui condividere qualcosa, piuttosto che come concorrenti da scavalcare nella lotta per la vita…
Con il canto del gloria celebriamo con gioia il perdono dei nostri peccati, e la pace che egli dona ad ogni uomo di buona volontà.

LETTURE

La necessità della preghiera: è questo il tema di oggi: Viene enunciato nella bibbia, particolarmente nella prima lettura e nella parabola del vangelo di Luca.
Ma, se questo è il messaggio centrale e certamente cristiano, dobbiamo stare attenti ai contorni, particolarmente leggendo la prima lettura dal libro dell’Esodo.
E’ un esempio di come dobbiamo leggere la bibbia senza scandalizzarci di ciò che vi troviamo scritto.
Le mani alzate di Mosè insegnano certamente l’efficacia della preghiera, non vogliono incitarci a passare a fil di spada i nemici come ha fatto Giosuè.
La guerra, la concezione di un Dio come difensore militare di un popolo nei riguardi nei suoi nemici se fanno parte della antica cultura e storia del popolo ebraico, non fanno certo parte della esperienza del popolo cristiano-
Bisogna stare attenti quando si legge la Bibbia-…
Facciamo, come sempre, il tentativo di andare al centro del messaggio che oggi ci viene dalla Bibbia, senza lasciarci fuorviare dai particolari…
“Quando verrà il regno di Dio?” fu chiesto a Gesù. Ed Egli, per dare una risposta a questa domanda, racconta la parabola dalla quale è tratta la frase che troviamo scritta davanti ai nostri occhi: “Bisogna pregare sempre senza stancarsi mai”.
Cosa vuol dire? E’ possibile pregare sempre? Perché poi bisognerebbe pregare? E come dovremmo farlo?
Su queste domanda cercheremo di fermare oggi la nostra attenzione.

OMELIA

“Ma il figlio dell’uomo, quando tornerà troverà ancora fede sulla terra?
E’ la prima volta, che leggendo il vangelo si percepisce un atteggiamento pessimistico da parte di Gesù Cristo.
Sembra scoraggiato.
Perché?
Il mondo diventerà ateo?
Non si penserà più a Dio? La gente non andrà più in chiesa?
Si diffonderà l’irreligiosità per tutta la terra?


Riusciremo probabilmente a capire il senso di queste parole, di questa sua amara perplessità, se risaliamo al capitolo precedente.
I farisei, racconta Luca, gli chiesero: “Quando verrà il Regno di Dio?”
E Gesù allora raccontò una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai”.
Ma qual è il nesso fra la domanda e la risposta?
Intanto la parabola cella vedova che chiede giustizia ad un giudice un po’ pigro, non è una generica esortazione alla necessità della preghiera.
Certo, la preghiera rappresenta un capitolo molto importante della nostra esperienza cristiana, sul quale altre volte ci siamo fermati e sul quale ritorneremo.
E se per “preghiera” intendiamo un movimento delle labbra, una monotona ripetizione di parole pregare “sempre” è semplicemente impossibile.
Anche se volessimo farlo o ne avremmo né il tempo, né la possibilità.
In alcune religioni hanno inventato la “ruota” della preghiera.
Ruota delle preghiere: anche dette chokhor (ruote della legge), costituiscono uno strumento di preghiera buddista esclusivamente tibetano. Le ruote di tipo portatile sono anche dette mulini della preghiera e sono delle ruote cilindriche con un coperchio removibile che nasconde una cavità entro cui è attorcigliata una striscia di carta di riso su cui sono scritti antichi Mantra (invocazioni al Buddha). Quando la ruota gira, la preghiera che porta al suo interno si sbriciola nell’aria e il vento la trasporta in tutto il mondo verso le dieci direzioni.
Esistono però ruote di preghiera di diverso tipo e dimensione e non tutte sono portatili. Attorno ai luoghi sacri e agli ingressi dei paesi sono collocate file di ruote più grandi, poste su supporti di legno a beneficio dei pellegrini e dei viandanti.

Ne ho una qui… faccio tutto quello che devo fare, ma se ho una mano libera, la preghiera va da sé. La ruota prega per me!
Magari l’intenzione è buona. Sono perplesso su ciò che ne pensa il Padreterno.
Perché pregare vuol dire parlare, vuol dire ascoltare, vuol dire comunicare, vuol dire sentire, sempre, anche quando la nostra mente e le nostre mani sono prese da mille cose, in tutt’altre faccende affaccendate, che qualcuno che fa talmente parte della nostra vita che, se non ci fosse, non potremmo più vivere.

Ecco perché pregare non vuol dire recitare formule prestabilite. Forse “recitare delle preghiere” è l’esatto contrario del pregare.
Ve lo immaginate un innamorato che per parlare on la su amata si procuri un libretto, un prontuario di farsi fatte e gliene reciti qualcuna al momento opportuno?
Ma non è questo l’argomento di oggi.
Non è questo il messaggio che oggi ci viene trasmesso dalla Parola di Dio.
Per capire bene ciò che ci dice oggi Luca dobbiamo leggere bene dentro il contesto nel quale Cristo pronunzia questa espressione.
Dobbiamo mettere in rapporto i tre elementi presenti nella parabola di oggi: il Regno, la fede, e la preghiera, dando a queste tre parole lo stesso significato che loro attribuiva Cristo.


Per Cristo:
il Regno di Dio è la progressiva realizzazione nel mondo della giustizia, della fraternità e della pace;
la fede, (lo dicevamo domenica scorsa) quella vera, quella di cui parliamo da qualche tempo a questa parte, non è una generica credenza, ma un dono che riceve solo chi vuole realizzare la giustizia e la pace;
e, quindi la preghiera non è un richiesta qualunque, che attiene alle nostre, pur rispettabili, esigenze personali, dicevamo, questa preghiera è un modo di essere, un anelito costante e profondo, che ci fa desiderare e gridare notte e giorno perché venga la giustizia sulla terra.
Ed ecco che appena letta e compresa la parola ci giudica.
Giudica anzitutto il nostro modo di pregare.

Perché è difficile pregare con innocenza.
Che voglio dire?
Voglio dire che la preghiera, come invocazione a Dio, per essere autentica, presuppone che si sia messo in opera tutto quello che è nelle nostre possibilità per realizzare l’obbiettivo che riteniamo buono e necessario.
Se noi preghiamo invece di operare, non c’è dubbio che la preghiera va incontro alle nostre accidie e alle nostre inadempienze, presume di riempire i vuoti della nostra umanità.
Può essere un atto ambiguo o, a volte, iniquo, se si accompagna al disimpegno.
Ecco perché è difficile una preghiera innocente. Essa porta su di sé i riflessi oscuri delle nostre complicità con le cause di quel male che vorremmo eliminato da questo mondo.
Ma veramente io, voi, noi tutti crediamo che se gridassimo giorno e notte (gridare giorno e notte è l’esatto contrario di lamentarsi o di parlare una volta ogni tanto), perché vengano pace e giustizia, allora veramente pace e giustizia comincerebbero a fiorire sulla terra?
Abbiamo questa forza? Abbiamo questa fede?
Io non ce l’ho e forse anche qualcuno di voi ne è privo.
Noi, spesso, invece di gridare e ribellarci contro l’ingiustizia, preferiamo rassegnarci e subire.
Scandali, cattiva amministrazione, clientelismo, soprusi… noi non chiediamo giustizia, gridando. Invece di importunare, denunziare, ribellarci al diffuso malcostume andiamo ad elemosinare come favore ciò che ci spetta come diritto, e anche questo lo facciamo spesso, solo quando siamo toccati personalmente.
Quando ad essere maltrattati sono gli estranei non ci interessa!
E se siamo così rassegnati davanti ai piccoli mali che riguardano le piccole ingiustizie del nostro condominio, del nostro quartiere, della nostra città, siamo ancora più supini davanti agli enormi problemi che riguardano i più poveri, i diseredati, che riguardano tutta l’umanità, particolarmente quel pezzo di umanità che sta più a cuore a Dio.
Una recente inchiesta dice che la maggior parte degli italiani non vuole le armi, non vuole la guerra.
Ma questa maggioranza non dice nulla, è silenziosa, si rassegna all’inevitabile.
Ci hanno tranquillamente imbrogliato sulle armi di distruzione di massa di Saddam, ci hanno turlupinati sulle sue presunte collusioni con Bin Laden. E questo non lo dico io, lo dice Rumsfeld, sapete chi è no?


Può anche sembrarci che questa rassegnazione non sia del tutto stolta, perché, se vogliamo essere sinceri e realisti c’è una grande sproporzione fra l’enormità di questi problemi e l’esiguità dei nostri gesti.
Ma proprio qui si inserisce il discorso della fede, quella fede che Cristo teme di non trovare più al suo ritorno, quella fede che sa sperare, dalla potenza di Dio, che sa moltiplicare, potenziare anche un piccolo gesto, purché la giustizia ci stia veramente a cuore, giorno e notte.
Al mio ritorno, dice Cristo, troverò fede o rassegnazione?
L’altro giorno, in macchina, sentivo una radio cattolica.
Canzoncine sacre melense, consigli spirituali stucchevoli, intimistici, languidi: nessun grido, nessuna protesta, nessuna analisi seria, nessuna presa di coscienza…
E mi appariva chiaro il senso della domanda di Cristo: “Al mio ritorno, troverò solo dei rassegnati, magari molto religiosi, o troverò uomini che hanno gridato lottato, importunato, giorno e notte, fiduciosi nella promessa di Dio perché venga il suo regno e la sua giustizia?
Da quale parte ci troverà Cristo, nel giorno della sua venuta?

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