Mangiavano, bevevano e non si accorsero di nulla

28 Novembre 2010 Nessun Commento     

DOMENICA PRIMA DI AVVENTO ANNO A

Quattro domeniche, quattro settimane, quattro opportunità ci vengono offerte per prendere coscienza della nascita di Gesù Cristo.
Quattro occasioni da non perdere se vogliamo vivere in maniera non banale, superficiale, scontata quello che per un cristiano è l’avvenimento fondamentale della storia; oggi, purtroppo, diventato solo una ricorrenza pseudoreligiosa, commerciale, svuotata di contenuti.
Se siamo qui, è perché, in qualche modo cerchiamo di capire il vero significato del Natale del Signore.
Diamo allora il benvenuto a questi bambini che, con la loro presenza, ci fanno sentire la gioia della nascita di ogni donna e di ogni uomo al mondo.

Speriamo che, crescendo, possano accettare il dono che oggi viene loro fatto a loro insaputa; con l’augurio che noi tutti, a partire dai loro genitori e dai loro padrini, possiamo essere capaci di testimoniare il valore di questo dono per la loro vita.
Per questo, insieme preghiamo.

LETTURE

Vi accorgerete subito, ascoltando le letture di oggi che del natale non se ne parla.
Isaia parla del futuro di Dio, della giustizia, della pace e ci invita a camminare nella luce del Signore.
Anche il Vangelo non parla della nascita di Cristo, ma della sua seconda venuta alla fine dei tempi.
Ma è Paolo che coglie nel segno perché coniuga tutto al presente, parla a noi, ci dice di uscire dal buio, di svegliarci dal sonno, per costruire il futuro di Dio.
Ascoltiamo!


OMELIA

Aspettare, attendere, sperare, è una delle dimensioni fondamentali della vita.
Attendiamo un arrivo o una partenza, un lavoro o una telefonata.
Attendiamo che piova o che esca il sole.
Attendiamo la visita di un amico o temiamo l’incontro con un nemico.
Attendiamo il sabato per riposarci e il lunedì per ricominciare a lavorare.
Aspettiamo di incontare colui o colei da amare per la vita…
Attendiamo con gioia ed apprensione che nasca un bambino…
Il desiderio, la speranza, il progetto del futuro sono essenziali al nostro essere uomini, sono la molla che ci sprona, ci sprona a raggiungere un obbiettivo, che ci da motivi per vivere…
Attesa infatti non significa: “aspettare con le mani in mano”, at-tesa, cioè “tendere a…
Dicono che la vecchiaia comincia quando finiscono i progetti…
“Si diventa vecchi quando si cessa di progredire…
Quando credete che avete fatto tutto quanto avevate da fare, di sapere tutto quanto dovevate sapere, allora immediatamente cominciate a declinare.
Quando al contrario siete convinti che ciò che sapete è niente rispetto a tutto ciò che resta di sapere, che ciò che avete fatto è appena il punto di partenza per tutto ciò che resta da fare, allora siete giovani, qualunque sia il numero dei vostri anni..”.
Nella dimensione dell’attesa ci colloca oggi la parola di Dio, nella quale, dicevamo, non si parla del Natale: la grotta, gli angeli, il bambinello, i pastori… nulla di tutto questo.
Si parla del futuro che anche Dio attende: di spade trasformate in aratri, di lance che diventeranno falci, di segni di pace, non di guerra, della venuta di Cristo ma non quella avvenuta duemila anni fa, ma quella che avverrà, alla fine dei tempi.
Che c’entra tutto questo col Natale già annunziato, anche se in tono minore, vista la crisi che ci sovrasta, con le luci, gli addobbi, i negozi, i regali, il traffico impazzito già dal mese di novembre?
Sembra fuori tema quello che abbiamo ascoltato.
Infatti, non vi scandalizzate, il natale, almeno come lo descrive l’immaginario collettivo, per il cristiano, non esiste.
Non per nulla Natale è un festa tardiva nella chiesa.
Appare solo alla fine del IV secolo in occidente. I primi cristiani celebravano solo la Pasqua. E se avessero solo immaginato che cosa sarebbe diventato il natale oggi, forse avrebbero volentieri fatto a meno di inventarlo.
Perché natale non è un nostalgico ricordo abbellito dalle candeline e dalle palline colorate, un ricordo che dura un giorno, il natale mi ricorda che il Cristo già venuto non solo tornerà, ma che deve venire oggi, deve venire ora, venire attraverso di me, attraverso di te, attraverso di noi…
Se il passato e il futuro non si incontrano nel presente diventano, il primo, un’inutile ricordo, il secondo una vaga paura.
“Mangiavano, bevevano, e non si accorsero di nulla”.
Questa frase del vangelo che abbiamo messo davanti ai nostri occhi, fotografa benissimo l’atteggiamento con cui si vive questa festa.
L’ha fotografato bene, questo atteggiamento, Giorgio Gaber, in una nota canzone di parecchi anni fa. Il mondo crollava e “l’Italia giocava alle carte, e parlava di calcio nei bar…”
Quanta gente, fra meno di un mese, giocherà, mangerà e berrà, forse più di quanto è necessario, senza accorgersi di nulla, senza riuscire a leggere la propria vita e gli avvenimenti alla luce della parola che stiamo ascoltando.
Mangiavano, bevevano e non si accorsero di nulla.
Queste parole non condannano chi mangia e beve, ma chi non si accorge di nulla, chi, pur chiamandosi cristiano, pur essendo stato una volta battezzato, ha fatto di questo battesimo solo un certificato anagrafico ma non conosce oggi il Cristo di ieri e di domani.
Mi è capitato fra le mani in questi giorni un foglietto che avevo messo da parte qualche anno fa.
Sono auguri di Natale.
Auguri un po’ strani, fuori dal comune.
Scritti da un vescovo, un grande uomo, don Tonino Bello, e mi hanno fatto pensare.
Avevo pensato di leggerli il giorno di Natale.
Ma forse è meglio di no.
Potrebbero guastare il giorno della festa.
Meglio a un mese di distanza.
Faranno meno danno, perché sono auguri scomodi!

Non obbedirei al mio dovere di vescovo, dice don Tonino Bello, se vi dicessi: “Buon Natale, senza darvi disturbo”.
Io invece vi voglio infastidire.
Non posso, infatti, sopportare l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla “routine” del calendario.
Mi lusinga, addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Eccoli!

AUGURI SCOMODI!

• Gesù che nasce per amore ci dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E ci conceda la forza di inventarci un’esistenza carica di donazione di preghiera, di silenzio, di coraggio.
• Il Bambino che dorme sulla paglia ci tolga il sonno e ci faccia sentire il guanciale del nostro letto duro come un macigno, finché non abbiamo dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
• Dio che diventa uomo ci faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della nostra vita; il sorpasso progetto dei nostri giorni; la schiena del prossimo, gradino delle nostre scalate.
• Giuseppe che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei nostri cenoni, rimproveri i tepori delle nostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle nostre luminarie.
• Maria che trova solo in una stalla il luogo dove deporre il suo bimbo, ci costringa con i suoi occhi a vedere le condizioni inumane di tanti bambini che muoiono di malattie, di fame, di guerre.
• Gli angeli che annunziano pace portino guerra alla nostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l’aggravante del nostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano i popoli allo sterminio per fame.
• I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, ci facciano capire che, se anche noi vogliamo vedere una gran luce dobbiamo partire dagli ultimi: Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillamente inutili..
• I pastori che vegliano nella notte, facendo la guardia al gregge e scrutando l’aurora ci diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E ci ispirino un desiderio profondo di vivere poveri: che poi è l’unico modo per morire ricchi.

Avvenga per tutti noi così.

AMEN!

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